di Marco Aceto
Andrea Chiarotti è nato a Torino il 5 dicembre del 1966, ed è uno dei più forti giocatori italiani di sledge hochey (hockey su ghiaccio su slittino). Ha cominciato a giocare a hockey da piccolino e dopo un incidente è stato contattato da un gruppo di amici per mettere in piedi una squadra per ragazzi disabili. Nel 2003 il Comitato Paralimpico decide di formare una Nazionale da far giocare alle Olimpiadi del 2006 e Andrea ne diventa il capitano. Nella sua carriera ha vinto un campionato europeo nel 2011, quattro campionati italiani. Ha partecipato a tre edizioni dei Giochi Paralimpici (Torino 2006, Vancouver 2010 e Sochi 2014). Proprio a Sochi è stato il portabandiera azzurro durante la cerimonia d’apertura.
Andrea, cosa sono state per te le Olimpiadi di Torino 2006? “Un’emozione fantastica. Devo dire che per la nostra disciplina sono state un trampolino di lancio fondamentale. In pochi conoscevano lo sledge hockey e dopo Torino abbiamo avuto dei buoni riscontri di partecipazione ai nostri incontri”.
Cosa ha rappresentato per te giocare in casa? “E’ stato bellissimo. Ricordo con grande gioia il momento in cui siamo entrati nello stadio Olimpico strapieno durante la cerimonia di apertura e anche quando si sono chiusi i Giochi in piazza Castello. Sono rimasto sorpreso nel vedere oltre 5mila persone che facevano il tifo per noi durante le nostre partite a Torino Esposizioni”.
A distanza di dieci anni, sei contento che la Città abbia deciso di festeggiare l’anniversario delle Olimpiadi? “Sono contento, peccato soltanto che alcuni impianti hanno dovuto chiudere dopo Torino 2006. E lancio un appello: il Palatazzoli, dove noi giochiamo i nostri incontri casalinghi con i Tori Seduti, avrebbe bisogno di qualche lavoretto di manutenzione”.
Come vi siete preparati per le Olimpiadi di Torino? “Bene direi. Eravamo una Nazionale nata da soli tre anni e non potevamo certo pretendere di potercela giocare contro dei colossi quali la Norvegia, il Canada, gli Stati Uniti o la Svezia. Il nostro obiettivo era esserci e a Torino c’eravamo. Nelle partite per il settimo e l’ottavo posto ce la siamo giocata con l’Inghilterra, una bella emozione”.
Se dovessi trovare un’atleta che oggi assomiglia di più a Andrea Chiarotti, chi indicheresti? “Ho pensato tante volte di lasciare la fascia di capitano. Se dovessi sceglierne uno nuovo indicherei il trentino Gianluigi Rosa, un giocatore forte, un esempio per i compagni e una brava persona”.
Hai un ricordo particolare di quelle giornate? “Ce ne sono tanti. Ricordo con emozione il giorno della cerimonia di chiusura per l’entusiasmo della gente che ci ha accosto in piazza Castello. Mi chiamarono in diretta i conduttori di una famosa trasmissione radiofonica della Rai. Staccai per qualche secondo la comunicazione per far sentire loro le urla di gioia della gente di Torino”.