di Silvia Bruno in collaborazione con la redazione di TorinoClick
“Le mischie sono come un orgasmo: se si fa finta, non viene”. La frase, raccolta in un bar di Parigi, campeggia sulla copertina di “Ovalia. Dizionario erotico del rugby” e non può che incuriosire chi prenda in mano il volume di Marco Pastonesi (Baldini & Castoldi, 353 pagine), giornalista ed ex giocatore di rugby (ma non solo), che alla palla ovale ha dedicato un glossario ricchissimo di storie, aneddoti e citazioni, senza dimenticare le regole e il gergo. L’autore sarà a Torino per presentare il libro domani 28 aprile alle 18 nella Biblioteca di Villa Amoretti (corso Orbassano, 200) nell’ambito di Olimpo, il programma culturale di Torino 2015 Capitale Europea dello Sport.
L’aggettivo che nel titolo del volume rimanda a pensieri piccanti non deve trarre in inganno: anche se “L’erotismo nel rugby è dappertutto: nella forma ovale del pallone, nell’amplesso della mischia, nella urgenza dei placcaggi, nella felicità terrena della meta…” qui si parla fondamentalmente di una passione che quando arriva ti travolge più che in una mischia di gioco. Agli appassionati di rugby Ovalia apparirà come il compendio meraviglioso di una disciplina che diventa una vera e propria filosofia di vita, mentre i neofiti – magari assuefatti agli eccessi del calcio – scopriranno un mondo altro, fatto di sacrifici, fatica, scontri fisici, ma anche e soprattutto di amicizia, rispetto e assoluto fair play: un esempio è il famoso “terzo tempo”, forse uno degli aspetti più conosciuti del rugby, quando alla fine della partita giocatori (e arbitri) mangiano e bevono tutti insieme.
Con la scelta di forma del dizionario, nel libro Pastonesi passa in rassegna il mondo del rugby scomponendolo in centinaia di parole in ordine alfabetico. Per iniziare dall’Olimpo di questo sport, alla “A” troviamo ad esempio gli All Blacks, la mitica nazionale della Nuova Zelanda, considerata da sempre la più forte del mondo, di cui il mediano francese Pierre Berbizier diceva: “Devi pensare di giocare contro la Nuova Zelanda. Perché se pensi di giocare contro gli All Blacks, vieni schiacciato dal loro mito”. Il Guardian invece ha scritto: “Degli orsi duri, pelosi e muscolosi. E stiamo parlando solo delle mogli dei giocatori neozelandesi”. Alla “M” di mogli, le consorti dei rugbisti sono invece raccontate in una storiella dove un tifoso riesce miracolosamente a trovare un posto vuoto in tribuna alla finale di Coppa del Mondo. Viene fuori che lì avrebbe dovuto sedersi la moglie del signore accanto, passata a miglior vita, di cui quel giorno si celebrava il funerale… Tornando alla ”A”, per i non addetti ai lavori è affascinante la figura dell’arbitro, introdotta non subito nel regolamento di gioco; tralasciando il particolare che, prima di partite importanti, l’uomo col fischietto spieghi ai giocatori il proprio metro di giudizio, in genere non si assiste a contestazioni durante la partita, perché in questi casi la squadra di chi si lamenta viene fatta arretrare di 10 metri.
Poi, “B” come Barbarians, il club di rugby più famoso del mondo, tanto da non aver bisogno di società né campo: i giocatori sono convocati con un invito mandato per posta ed è un onore che tutti sperano tutta la vita di ricevere. “B” anche come bere: “Dio inventò la birra per evitare che i rugbisti conquistassero il mondo”, come recita il muro di un liceo di Brescia”.
E ancora, “C” come Cucchiaio di legno, riconoscimento che spetta alla squadra che perde tutti gli incontri del Torneo Sei Nazioni: peccato che in realtà l’oggetto non esista, o per lo meno non esista più, anche se gli storici dello sport giurano che fu il trequarti inglese William Bolton a inventare questa tradizione, un po’ per caso, con un vero wooden spoon. “E” come William Webb Ellis, considerato (forse a torto) l’inventore del rugby quando da ragazzo, nel 1823, durante una partita a football sorprese i compagni della (”R” come) Rugby School, in Inghilterra, schiacciando la palla con le mani oltre la linea di fondo avversaria e gridando “Meta!”. ”H” come la forma della porta e come la haka, danza Maori eseguita dagli All Blacks prima di ogni partita e nata probabilmente da una canzone su donne e capi tribù. ”I” come ignorante, espressione tutta italiana che prende l’accezione positiva di tosto, duro, coraggioso. ”S” come spogliatoio, definito dal giocatore francese Jean-Pierre Rives ”il miglior posto dove incontrare i migliori amici”. Ma forse niente rende meglio questo spirito, strettamente legato al fair play, delle parole di Andrea Lo Cicero, 103 presenze nella Nazionale italiana: ”Quando finisce la partita, il primo pensiero è per il mio avversario. Tornati nello spogliatoio, ci cerchiamo, incontrandoci di solito a metà strada, con la maglia in mano, da scambiare”.
Infine, ”T” come tifosi. Qualcuno dice che in campo i giocatori si danno già così tante botte che i tifosi sugli spalti sono costretti, per solidarietà, a stare buoni e tranquilli. Forse la caratteristica più importante da sottolineare è che nel rugby si tifa sempre a favore, mai contro: forse potremmo tutti impararne qualcosa.