di Elena Cebrelli in collaborazione con la redazione di Torinoclick
Storie di lotta, di bellezza e di scugnizzi che ce l’hanno fatta: il sottotitolo di questo libro intenso e verace ci fa subito capire che “L’oro di Scampia” dell’allenatore di judo Gianni Maddaloni non è solo una triste sequenza di pagine di denuncia sociale sul disagio e l’emarginazione degli abitanti del quartiere napoletano di Scampia, ma è soprattutto un racconto di quotidianità e di speranza, di vittorie sportive e, spesso, anche di piccole e grandi gioie.
“L’oro di Scampia” (Ed. Baldini&Castoldi), verrà presentato dall’autore Gianni Maddaloni domani, venerdì 22 maggio, alle 18 nella Biblioteca Ginzburg di Via Lombroso 8, nell’ambito di Olimpo – L’epica e l’etica dello sport – un progetto culturale promosso nel programma di Torino 2015 Capitale Europea dello Sport, ideato e organizzato dal Salone Internazionale del Libro con le Biblioteche Civiche Torinesi.
Ma che cos’è l’oro di Scampia? “E che fai? A un certo punto dici basta? Come fai, se sai che in fondo a quegli occhi spersi ci sta un tesoro, sepolto dalle colpe dei padri, che merita di splendere al sole. Questo è l’oro di Scampia”: i ragazzi che ce l’hanno fatta, a non delinquere, a vincere gli incontri di judo, a non odiare i propri padri, ma a non ripetere i loro errori. Antonio, Gennaro, Mimmo, Massimo e tanti altri, storie diverse, cadute e risalite, errori e recuperi, qualche delusione, ma tantissimi lieto fine.
La maggior parte di noi ricorderà il cognome dell’autore per i successi nazionali e internazionali – su tutti, l’oro olimpico di Sidney 2000 – del judoka napoletano Pino Maddaloni. Gianni Maddaloni, padre e allenatore di Pino, non è solo un capace tecnico di judo dal 1982. È il fondatore della Palestra Star Judo Club nel quartiere Scampia a Napoli e, soprattutto, del cosiddetto “Percorso Maddaloni”, un’esperienza vincente di inclusione sociale, disciplina, sport e successi agonistici nel difficile quartiere noto per il disagio giovanile e l’alto tasso di criminalità. Simbolo del quartiere Scampia sono le Vele, casermoni popolari costruiti negli anni ‘60 con l’intento di offrire grandi unità abitative e spazi di aggregazione per le famiglie; nella realtà il quartiere intorno alle Vele, totalmente privo di infrastrutture e attività commerciali, è diventato una sorta di ghetto in cui le famiglie e i ragazzi riescono a sopravvivere con difficoltà senza cadere nelle maglie della criminalità organizzata.
Gianni Maddaloni cresce nel secondo dopoguerra in una famiglia numerosa di Napoli, passando molto tempo per strada. Grazie all’attenzione dei genitori e alla presenza di qualche buon amico e soprattutto del suo maestro di judo e mentore Enrico Bubani detto “Lupo”, riesce a non essere fagocitato dalle cattive amicizie e dalle tentazioni del bullismo di strada che spesso nei quartieri difficili di Napoli e a Scampia in particolare sono un’iniziazione alle attività criminali gestite dalla camorra. Divide il proprio tempo fra il lavoro al Policlinico presso l’Università Federico II e la pratica e l’insegnamento del judo, forgiando numerosi campioni, fra cui l’olimpionico Pino Maddaloni.
Saranno proprio i successi olimpici a lanciarlo nel 2004 nell’avventura protagonista di questo libro: l’apertura, proprio a Scampia, di una palestra di judo rivolta soprattutto ai ragazzi del quartiere, quegli scugnizzi che spesso si trovano loro malgrado nella zona grigia in cui la differenza fra bene e male, fra legalità e criminalità, è molto labile. Si tratta spesso di ragazzi vissuti in estreme difficoltà economiche, con padri detenuti e quindi assenti, e madri che con difficoltà riescono a mettere insieme i soldi per l’affitto e la cena. Maddaloni offre a questi ragazzi l’alternativa che spesso manca loro: da un lato la “via facile” dei soldi a breve termine, della prevaricazione e del crimine, che culmina nella distruzione della propria vita e di quella della propria famiglia; dall’altro l’alternativa offerta dal judo, la “via maestra” della legalità, che prevede rispetto, disciplina e, in fondo al percorso, la felicità di una vita onesta e dignitosa.
Maddaloni insegna ai ragazzi la disciplina del judo, fondata proprio sul rispetto sia dell’avversario, sia delle regole, dentro e fuori dal tatami, la superficie sulla quale si svolgono gli incontri. Un esempio è l’uso dell’inchino che a inizio incontro i contendenti si fanno l’un altro come saluto di rito: allo Star Judo Club viene utilizzato come forma di rispetto ogni qualvolta si saluta qualcuno anche al di là degli allenamenti e delle gare. Questi punti cardine, uniti alla paterna presenza di Maddaloni nelle vite dei suoi allievi e allo sfogo fisico che lo sport del judo fornisce ai ragazzi, sono i punti vincenti del cosiddetto Percorso Maddaloni.
A oggi la palestra conta circa 1200 iscritti. I ragazzi non pagano, mentre gli adulti pagano una quota simbolica. Presso la palestra vi sono anche alcuni detenuti a fine pena che prestano servizio. Lo stesso Maddaloni collabora con alcuni Centri di Accoglienza Primaria e con scuole e carceri minorili per estendere il più possibile il Percorso Maddaloni. Il suo obiettivo è fornire un esempio positivo: se Gomorra – libro e serie tv – parla delle macerie fisiche e umane di Scampia, regno di violenza e spaccio, Maddaloni invece parla dell’altra parte del quartiere, quella assolutamente maggioritaria a dispetto delle difficoltà e della relativa assenza dello Stato, quella delle famiglie “normali” che seppur fra mille difficoltà riescono a condurre una vita onesta, dignitosa e a volte persino felice.
Maddaloni però non è ancora soddisfatto: il suo sogno infatti è di aprire una Cittadella dello Sport a Scampia, decuplicando il suo attuale bacino di utenza per portarlo a 12.000 sportivi, sui 100.000 abitanti del quartiere. “Scampia ha bisogno di te”, gli dice la figlia Serena, e pare non essere l’unica a pensarlo: pian piano anche le istituzioni si stanno accorgendo dei sorprendenti risultati del Percorso Maddaloni, facendo ben sperare per il futuro dei progetti del vulcanico Maestro.