di Gianni Ferrero
Ricorrono i cento anni della prima guerra mondiale. Il 24 maggio 1915 l’Italia si gettò nel conflitto bellico contro gli imperi centrali, dieci mesi dopo l’inizio delle ostilità in Europa. Fu uno scontro sanguinoso con oltre 600 mila vittime. Non c’è paese in Italia senza una lapide che ricordi il sacrificio dei fanti che si misurarono nello scontro.
In mattinata all’auditorium della Città metropolitana, ospite il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, un convegno organizzato dalla Fondazione Donat Cattin ha ricordato come in quella vigilia l’Italia si divise fra interventisti e neutralisti con profonde lacerazioni anche nel mondo cattolico al termine di un anno convulso nel quale neutralisti e interventisti si erano confrontati nelle piazze con violenze, scioperi e manifestazioni più o meno minacciose.
All’inizio dei lavori di “Italiani in guerra a cent’anni dalle radiose giornate di maggio” – ai quali si sono alternati Francesco Malgeri, Francesco Traniello e Bartolo Gariglio – storici del movimento cattolico – è intervenuto il sindaco Piero Fassino, che ha preceduto il senatore Franco Marini, presidente della commissione che a Palazzo Chigi si occupa delle celebrazioni di anniversari di interesse nazionale.
Si è parlato dei timori dei cattolici e, non solo di loro, di fronte alla prospettiva di un conflitto senza precedenti che ormai si mostrava interminabile e sanguinoso. Del trentennio di turbolenze che avrebbero accompagnato il mondo e in particolare l’Europa, e del ruolo del Piemonte nel conflitto.
“L’Amministrazione comunale torinese è molto attenta a guardare al passato, nella convinzione che è indispensabile indagare la storia contemporanea per comprendere le origini di un conflitto che causò un numero elevatissimo di vittime. Si tratta forse dell’ultima guerra combattuta a corpo a corpo da soldati di ogni ceto e di ogni paese. Non c’è famiglia che non ricordi nonni o bisnonni sacrificati in quelle giornate, feriti o fatti prigionieri– ha spiegato il sindaco Fassino – . Nella certezza dell’importanza di respingere l’oblio, nel settantesimo anniversario della Liberazione abbiamo promosso un calendario di celebrazioni per sottolineare il ricordo della inequivocabile scelta degli italiani di abbattere per il muro del totalitarismo e riconquistare i diritti civili negati dal fascismo. E altrettanto faremo intorno all’imminenza del 24 maggio. Mano a mano che i fatti si allontanano, per il passare del tempo, si annebbiano i contorni. Ebbene proprio richiamati dal monito dello storico Jacques Le Goff vogliamo trasmettere conoscenza di quei fatti, per non lasciare nessuno orfano del passato. La memoria storica è peraltro indispensabile a illuminare il presente, a far capire che il rispetto dei diritti inviolabili della persona, la tolleranza, non sono scontati, ma valori conquistati”.
“E nonostante la storia abbia conosciuto guerre, stermini, genocidi, c’è sempre il rischio che quello che è accaduto possa ripetersi. Vent’anni fa una guerra ha insanguinato i Balcani e Il 12 luglio prossimo l’Europa ricorderà proprio il terribile massacro del luglio 1995 di Srebrenica. Non c’è futuro senza memoria. La conoscenza aiuta a mantenere vivi gli anticorpi – ha concluso Fassino. – Occorre essere pronti a estirpare i primi segni dell’antisemitismo, del razzismo, dell’intolleranza religiosa e della xenofobia. Sono tossine pericolose. E’ necessario un impegno preventivo quotidiano, costante e continuo”.