Il problema della violenza sulle donne richiede vicinanza e attenzione a coloro che ne sono vittime. Tuttavia, per compiere passi avanti su questo turpe fenomeno, è necessaria una svolta educativa cominciando dalle giovani generazioni. Questa mattina, a Palazzo Civico, la Consulta Femminile comunale ha presentato, in collaborazione di esperti, i risultati emersi da un questionario online, compilato da studentesse e studenti di alcune scuole del territorio: il liceo statale Berti, gli Istituti di istruzione superiore Plana e Zerboni di Torino e l’Istituto Vittone di Chieri.
L’anno scorso la Consulta aveva promosso un convegno ‘Cat-calling, le scuole guardano al futuro e contrastano la violenza di genere’ con l’obiettivo di far conoscere il fenomeno, spesso sottovalutato, delle molestie di strada e capire cosa le giovani generazioni pensano della violenza di genere. “Abbiamo voluto aprire un confronto a livello cittadino, partendo dal mondo della scuola, per combattere il cat-calling in qualunque forma si manifesti” sottolinea Silvana Ferratello, presidente della Consulta.
Al questionario hanno risposto 377 studenti (279 sono ragazze), 59 lo hanno solo visualizzato, mentre lo ha completato l’86,5% dei ragazzi. L’età varia dai 15 ai 17 anni (68% delle risposte) e dai 18 ai 20 anni (27,5%). Le risposte sono state raccolte dal 9 febbraio al 12 maggio 2023.
I giovani conoscono il fenomeno (91% hanno risposto affermativamente); il 61,3% hanno subito il cat-calling . Di coloro che hanno compilato il questionario 230 sono state vittime di questa violenza di genere in una fascia di età che va dai 15 ai 17 anni, perpetrata da sconosciuti nel 98,4% in pubblico (strada, autobus, locali). Solitamente sono i maschi a praticare il cat-calling (95%) e, nella maggior parte delle volte, le vittime non reagiscono (56%). Chi subisce la violenza solitamente ne parla con gli amici (66%), qualche volta con i famigliari adulti (37%) e quando lo fa si sente capito e sollevato. Alla domanda ‘perché non ne hai parlato’ il 30% ha risposto ‘non ha senso parlarne perché sono cose che succedono a tutti’
Ma il questionario chiede anche alle ragazze e ai ragazzi se qualcuno di loro ha praticato il cat-calling. Hanno risposto affermativamente il 6,1% contro il 93,9%, un dato importante da cui emerge quanto i giovani siano consapevoli della gravità del fenomeno e di quanto sia lesivo della dignità delle persone. Anche in questo caso la violenza è avvenuta in un luogo pubblico, per scherzo (31%), nei confronti di ragazze e donne sconosciute, che, nella maggior parte dei casi, non hanno reagito.
A portare i saluti della Città Carlotta Salerno, assessora alle Politiche educative e giovanili, Jacopo Rosatelli, assessore al Welfare e Diritti e Pari opportunità, Ludovica Cioria vicepresidente del Consiglio Comunale.
“Sono felice di essere qui a questo incontro perché il cat-calling è un tema che anche il nostro Consiglio Comunale ha affrontato diverse volte, un fenomeno spesso sottovalutato e spesso ascritto a un atteggiamento goliardico, a situazioni banalizzate o semplificate quando sappiamo che la strada che può portare alla prevaricazione ha porte ingannevoli, spesso da una parola ambigua o da certi atteggiamenti scaturiscono comportamenti pericolosi o dolorosi per tutte e per tutti” ha dichiarato Salerno. “Sono qui – ha concluso l’assessora – per capire dagli esiti dei questionari qual è la vostra consapevolezza, il livello di conoscenza, il vostro pensiero. Per noi è importante interrogarci e confrontarci con tutti voi perché così è possibile colmare la differenza degli anni che ci divide e mettere in atto quelle politiche dedicate ai giovani che sappiano risponde alle loro reali necessità”.
“Dobbiamo andare alle radici del fenomeno, ai piccoli comportamenti quotidiani di sopraffazione di cui nemmeno ci accorgiamo, ecco lì dobbiamo fermaci e riflettere. La nostra civiltà si regge su secoli di dominio maschile nei confronti delle donne in cui il loro corpo era ritenuto a disposizione con la violenza fisica, l’uso fisico di questo possesso o anche all’uso verbale o semplicemente linguistico. Sentirsi autorizzati a fare ciò che per qualcuno è solo un apprezzamento galante è già una forma di sopraffazione. Sono atteggiamenti figli di una cultura che nella differenza tra uomini e donne mette già una gerarchia” ha sottolineato Rosatelli.