di Mauro Gentile
Se paragonassimo il progetto “La città possibile” a una scalata alpina, potremmo dire che se per raggiungere la vetta servono ancora molti sforzi, una delle pareti più difficili è stata sicuramente già superata. Insomma, se nel gioco dei paragoni conquistare la cima della montagna equivale a dare una soluzione totale al problema dei campi Rom in città, questa impresa non è stata ancora compiuta. Ma l’aver chiuso il campo spontaneo di Lungo Stura Lazio a fine dicembre e dopo due anni di lavoro, significa aver affrontato con successo una parte importante di una sfida condotta, fianco a fianco, da Comune di Torino, Prefettura del capoluogo piemontese, Croce Rossa, associazioni e altri soggetti del privato sociale.
Una sfida di cui si è parlato questa mattina nella Sala Bobbio della ex Curia Maxima di via Corte d’Appello, nel corso di un incontro organizzato dall’Osservatorio permanente sulle progettualità per le comunità nomadi del torinese e dedicato all’analisi dei risultati ottenuti fino ad oggi da “La città possibile” e alle sue prospettive future.
Il sindaco Piero Fassino – in un videomessaggio – ha parlato di un progetto di grande valore morale per affrontare una situazione che presentava molte criticità e alla quale, rifiutando ogni pregiudizio, si è cercato di dare una soluzione che consentisse di togliere le famiglie Rom da una condizione di vita al di sotto del livello di civiltà. Un progetto molto ambizioso, non semplice da realizzare e da condividere con i cittadini. Ma – ha tenuto a sottolineare il sindaco – è compito di una Amministrazione comunale garantire la dignità di vita per ogni persona, in qualunque luogo sia nata e a qualsiasi cultura, nazionalità ed etnia essa appartenga.
Con la “La città possibile” – ha aggiunto Fassino – sono stati avviati interventi anche in altri insediamenti nomadi cittadini, per i quali ci si propone nel tempo medio di adottare le stesse soluzioni sperimentate e praticate in Lungo Stura Lazio.