Una professione fondamentale per il funzionamento di quella parte del sistema socio-sanitario che si occupa di anziani e disabili e, dato tutt’altro che irrilevante, in grado di offrire concrete opportunità di impiego a migliaia di persone, soprattutto donne e per la maggior parte migranti.
E’ quella dell’assistente familiare, figura alla cui evoluzione professionale è dedicato il libro “Straniera di casa. Per una formazione contestualizzata dell’assistente famigliare”, che sarà presentato mercoledì 14 dicembre nel corso del convegno “Cure domiciliari per persone non autosufficienti: frontiera per le famiglie e nuove professionalità”, organizzato alla GAM dall’assessorato alle Politiche sociali della Città di Torino.
Il volume raccoglie e analizza gli esiti di una ricerca sull’attività di formazione curata dalla Città di Torino, attraverso la Scuola di Formazione ed Educazione Permanente, realizzata per le assistenti familiari impegnate nel lavoro di cura a domicilio degli anziani e di persone con disabilità.
“Per troppo tempo – è sottolineato nelle pagine di “Straniera di casa” – l’assistente familiare è rimasta una professione sommersa, il definire invece il percorso formativo e istituirne l’albo sono i primi modi per assicurarsi da un lato la possibilità di offrire agli anziani e alle famiglie un servizio di qualità e, dall’altro lato, però anche un modo per proteggere le assistenti familiari stesse da abusi e prevaricazioni”.
Le prime due serie di corsi di formazione sono state frequentate da 1115 assistenti familiari e 844 di loro hanno conseguito un attestato, aprendosi così anche la strada per altre esperienze professionali.
“E’ necessario che la formazione per assistente familiare – è infatti evidenziato nella pubblicazione – risponda a due diverse esigenze: da un lato non precluda ai partecipanti la possibilità di evolvere verso altre professionalità della stessa filiera, questo richiede ad esempio che il percorso formativo sia collegato con il corso per operatore socio-sanitario. Nel contempo è necessario che la formazione favorisca la costruzione di identità professionali sufficientemente ampie da garantire anche altre prospettive professionali, ad esempio per il lavoro con disabili e minori”.