di Gianni Ferrero
E’ proseguito stamattina a Palazzo Civico l’esame delle iniziative per aiutare le donne vittime di violenza. Al tavolo della sala capigruppo due funzionarie dell’assessorato comunale ai Servizi sociali, Patrizia Gamba e Valeria Rubino, hanno offerto con grande sensibilità ai consiglieri delle commissioni presiedute da Guido Alunno e Domenica Genisio considerazioni e analisi di un fenomeno, quello della violenza e degli abusi, che non tende a diminuire. Centocinquantasette le persone, fra queste 7 uomini “maltrattanti”, che nel 2014 sono ricorse al centro antiviolenza del Comune (fiore all’occhiello dell’Amministrazione pubblica torinese, altrove tali strutture sono afferenti al volontariato sociale) salite a 188 nel 2015. Sono anime in pena che trovano nell’aiuto pubblico le risorse per affrancarsi, lasciando alle spalle le giornate di soprusi. Si rivolgono al call center “mamma e bambino” o a quello del pronto intervento per minori stranieri e raccontano a chi è dall’altra parte della cornetta nient’altro che storie di disperazione. All’operatore, nei casi più gravi, tocca trovare una sistemazione immediata, una camera per dormire, assicurando un pasto caldo. In questo caso si aprono le porte della casa rifugio (che ha un indirizzo segreto) dove in media le donne si fermano 4 mesi (“perchè non vogliono specchiarsi oltre nel dramma delle nuove arrivate”). Nelle cinque camere su due piani di questa abitazione protetta, accogliente e con giardino, l’anno scorso 13 donne hanno trovato tranquillità. Si tratta di originarie di tutti i continenti e, tra esse, una sola è italiana. Ma, in città, sono disponibili altre due case rifugio femminili coordinate da associazioni convenzionate. Però qui vengono accolte solo le ragazze senza figli. Grazie al cielo Torino, è stato spiegato, ha una rete solidale efficientissima. La crudezza dei dati rende evidente che la violenza coinvolge non solo donne giovani o di mezza età, ma si spinge a lambire i 70 anni. Carnefici in questo caso i figli che tornano a coabitare con la mamma, dopo il naufragio del matrimonio. Se nel 2014 le assistenti si sono imbattute in sette casi, nel 2015 hanno visto salire a ben 14 le signore alle prese con questo dramma.
Due anni fa ben 126 donne, molte delle quali con bimbi, hanno accettato di affrontare un percorso strutturato incontrando legali e psicologi e trovando nelle borse lavoro il sostentamento economico.
Dietro a ogni numero c’è una storia di sopraffazione e sofferenza, di terrore e di strappi familiari che non si rimargineranno mai più. Di solitudine e di aule di tribunale. Una discesa agli inferi che solo l’empatia, la dolcezza, la pratica di psicoterapeuti e di educatori, di poliziotti sensibili, di vigili di prossimità affiatati e competenti e di giudici, riesce a frenare. A ricostruire le biografie, ad aiutare a trovare una casa, un lavoro a cui si è state strappate entrano in gioco le assistenti sociali.
E proprio ieri nella Centrale della Polizia Municipale, in via Bologna 74, è stata presentata ai giornalisti la sala riservata all’accoglienza delle donne vittime di violenza. Donne che si trovano in una delicata condizione psicologica ed è per questo motivo che si è decisio di accoglierle in un ufficio confortevole per metterle a loro agio. Raccogliere una denuncia di questo tipo richiede ore, per trovare la lucidità giusta , per farsi largo tra gli incubi.
Lo scorso anno gli agenti del Nucleo di Prossimità hanno trattato ottanta casi di violenza domestica, 85 di stalking .