“L’indovina de le carte”
– Pe’ fa le carte quanto t’ho da dà?
– Cinque lire. – Ecco qui; bada però
che m’hai da dì la pura verità…
– Nun dubbitate che ve la dirò.
Voi ciavete un amico che ve vò
imbrojà ne l’affari. — Nun po’ stà (non può essere vero)
perché l’affari adesso nu’ li fo.
– Vostra moje v’inganna. – Ma va’ là!
So’ vedovo dar tempo der cuccù! (da tempo immemorabile)
– V’arimmojate. – E levete de qui!
Ce so’ cascato e nun ce casco più!
– Vedo sur fante un certo nun so che…
Ve so state arubbate… – Oh questo sì:
le cinque lire che t’ho dato a te
Poeta di un mondo piccolo borghese, poeta della cronaca.
Il sonetto di Trilussa nasce lì, sul quotidiano, per commentare a caldo il fatto del giorno, la moda del momento. Ma poeta della cronaca non vuol dire poeta nella cronaca. Chè anzi i sonetti, staccati dall’occasione concreta per cui erano primariamente apparsi sul giornale, acquistano, poi raccolti in volumi, un valore autonomo, sovratemporale, incisivo.
E’ la cronaca che assurge a metastoria, è un fatto permanente, contemporaneo: la vita degli uomini, l’immortalità delle leggi che seguono le vicende umane; vale a dire la violenza, l’astuzia, il calcolo, l’egoismo, la “panza” che si beffa dell’idea, che condusse quasi naturalmente Trilussa alla favola, alla parabola degli animali parlanti.
L’incontro tra Trilussa e la favola aveva radici e premesse già nei sonetti con pochi influssi di qualche sonetto-fiaba del Belli, di due componimenti ricalcati su La Fontaine e Gaspero Gozzi.
Certo che nelle favole la storia fa capolino ogni tanto, è sempre così impalpabile per non turbare le acque ferme e senza tempo, dell’ennesima verifica delle leggi dei Rapporti Umani.
Con La Fontaine gli animali avevano un ruolo fisso, recitavano la loro parte come cristallizzati emblemi di una funzione sociale o di una qualità morale: in Trilussa essi acquistano un’elasticità nuova, un campo di possibilità significative, simboliche, psicologiche in modo tale che l’autore può svolgere il suo gioco a sorpresa: muta le parti dei personaggi e rimedia così alla monotonia dell’esito scontato e prevedibile che l’apologo gli impone.
Certo il lupo rimane lupo, e l’agnello agnello: ma questi personaggi forzati sono, in fin dei conti, marginali. Trilussa, inoltre, è un prodigioso cartoonist di quella società e riesce a distillare le vicende del proprio tempo nell’emblema umoristico della strip.
Carlo Alberto Salustri nasce a Roma nel 1871 e nel 1887 assume lo pseudonimo-anagramma di Trilussa, iniziò così la sua collaborazione nei giornali romani : “Il Rugantino”, “Capitan Fracassa”, “Travaso delle Idee”.
Altri autori descrivevano il loro mondo con la satira: dal realismo espressivo del Belli che ha comportato sul piano del linguaggio, l’assunzione più rigorosa degli strati linguistici più popolari,
dalle forme più discoste del Toscano; al Pascarella, che propone un nuovo modello di protagonista e dunque una nuova lingua: è il popolano dell’Italia Unita, che aspira alla cultura (narra e spiega la storia della patria) così come aspira alla condizione borghese.
Sulla strada avviata da Pascarella procede Trilussa, che forgia un linguaggio sempre più prossimo all’italiano, fino a ridurre il romanesco a una patina leggerissima.
Il diagramma linguistico Belli-Pascarella-Trilussa non corrisponde tout-court a un’oggettiva e progressiva italianizzazione del romanesco, parallela al divenire storico sociale (Roma di Papa Gregorio col Belli, Roma dell’Unità con Pascarella, Roma Giolittiana con Trilussa).
Trilussa con la sua satira continua a graffiare, a suggerire meditazioni non moralistiche, ma critiche su limiti della natura umana e sull’ansia di giustizia.
di Antonella Gilpi