Intanto gli da del tu.
Tranne i suoi compari, nessuno l’aveva mai fatto. E non è per una mancanza di riguardo. Anzi, è per una certa familiarità. Dopotutto lui è sempre stato presente – presentissimo – nella vita di tutti i siciliani che abitano nella punta estrema dell’isola verso Occidente.
Anche in quella di Giacomo, che lo cerca da anni e ogni giorno (Dove sei, Matteo?) dai microfoni della sua radio. E della sua città, Marsala, che è proprio lì, in mezzo al territorio dove il protagonista di questa storia padroneggia e spadroneggia.
Giacomo Di Girolamo è uno di quei giovani reporter di razza che in fondo all’Italia insegue le ordinarie vicende di una Sicilia che cambia e che non cambia mai, e intreccia le gesta dei più inafferrabili latitanti di Cosa Nostra, con tutto ciò che gli accade intorno.
Non è una semplice biografia di Matteo Messina Denaro, ma è un grido sofferto e appassionato di chi certamente merita “questo cielo di Sicilia”.
E’ acqua, perchè i siciliani possano sciogliere le proprie coscienze addormentate, divenute “statue di sale”, corrose da un vento di scirocco che non dà mai tregua.
E’ un viaggio dentro la mentalità mafiosa, attraverso le connivenze coi politici, gli amministratori, gli imprenditori e i semplici cittadini collusi con un efferato e sanguinario potere criminale.
E’ un romanzo, una fotografia di una terra di frontiera, che è comunque Italia, tra pericolose amicizie, servizi deviati, omicidi, rapimenti e stragi in cui molto rimane da raccontare.
Di Girolamo ci accompagna così nel labirinto trapanese, con le sue testimonianze da cronista di strada e alla fine ci rende meno misterioso l’uomo che tutti conoscono e nessuno conosce.
“Sei mio conterraneo, Matteo – scrive il cronista – dividiamo la stessa porzione di Sicilia, calpestiamo la stessa storia. Dove sei, Matteo? Hai il rimorso di vedere tua figlia pochissime volte. E sempre di fretta. C’è chi ti chiama “Diabolik” per la tua passione verso il fumetto. Ti piace farti chiamare “Alessio”.
Qualcuno ti considera il Ministro degli Esteri di Cosa Nostra.
Se avessi continuato gli studi avresti fatto il dottore o il mercante d’arte.
Qualcun altro ti chiamò “U siccu”, il magro.
Ti ritieni una vittima del sistema.
Di te dici: “Ho ucciso così tante persone che potrei riempire un cimitero”. Questa, Matteo, è la tua storia, che un po’ è anche la mia.”
Il libro è soprattutto una voce di speranza per quanti, come Giacomo Di Girolamo, non si vogliono arrendere e continuano, con ostinazione, a denunciare e raccontare, parafrasando Leonardo Sciascia, “come se” non fosse troppo tardi per salvare una terra bellissima e disperata allo stesso tempo.
E dunque è, più semplicemente, una dichiarazione d’amore per una Sicilia che ancora si riconosce in Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Libero Grassi e quanti, come loro, non hanno voltato la testa dall’altra parte.
I veri uomini e le vere donne d’onore.
di Antonella Gilpi