Goethe regala alla cultura europea, alla cultura occidentale, già incamminata nel borghese, turbolento Ottocento, una “ultima grande lezione di stile”, di sobrietà, di equilibrio: come afferma Giuliana Baioni.
Quando il romanzo viene pubblicato (1809), la Rivoluzione francese ha avuto luogo da vent’anni, il Terzo Stato ha affermato il suo posto nella società, i rapporti con esso sono regolati da leggi e costumi. Ma proprio quell’equilibrio deve confrontarsi con un mondo dei valori che lo nega perché viene disfacendosi.
Da questo punto di vista, il pathos trattenuto dal narratore che racconta “Le Affinità elettive”, il suo assistere partecipato e impotente all’esplosione devastante dei sentimenti, allo sfascio dei rapporti interpersonali, al crepuscolo dei legami eticamente testati, rappresenta, forse, una metafora dello stesso sguardo dell’autore verso un mondo avviato per una strada inquietante.
Goethe possedeva la risorsa di saper leggere anche nella dissoluzione e nella patologia più alta i segni della necessità, della riconnessione del tutto. E le “Affinità elettive” appaiono una grandiosa battaglia etica condotta, proprio attraverso lo stile, contro quanto anarchicamente o vitalisticamente lavora a spezzarli, quegli equilibri. Questo è un romando d’amore nel contesto di crisi di un mondo che ci sfugge e vuole metterci da parte.
E’ un racconto di dilettanti che estendono a tutto il romanzo la loro voglia di sperimentare, di intervenire sulla natura, di imporre la cultura. “Ma Goethe è lo sperimentatore sovrano – scrive Enrico De Angelis nell’introduzione del libro – . I suoi personaggi sono come punti di vibrazione di una ragnatela: una vibrazione in un punto si ripercuote dovunque, una parola usata in un luogo qualsiasi risulta un’eco moltiplicata, una situazione conosce un fatto è preceduto da premonizioni e segni vari, i personaggi si muovono in un intrico di riferimenti ostentatamente costruiti. I personaggi stessi non ne colgono nessuno; anzi l’unico che credono di saper cogliere lo interpretano in maniera sbagliata”. Si tratta di quattro personaggi di valore medio, coi loro pregi e i loro difetti.
Le “Affinità elettive” come creazione poetica esagerano quel che un romanzo comunque fa: stringere l’azione la rende più sensata di quanto la quotidianità non sia. Ma Goethe va oltre: toglie alle decisioni della quotidianità il loro tono povero, immettendole in un grande discorso sui tempi e sul destino. E col finale eroico e mitico fa dimenticare ogni caratteristica che non sia eroica e mitica.
Antonella Gilpi