Attraverso un dialogo vivace e avvincente, Nicola Gratteri e Antonio Nicaso offrono al lettore un’accurata ricostruzione storica della mafia calabrese, partendo dalle origini del fenomeno, che trova radici già nel Settecento e che è stato rilevato dagli storici del tempo.
Gratteri ci spiega come la diffusione di una illegalità estesa e la pratica di costumi socialmente malsani abbiano finito per instaurare in Calabria una dittatura mafiosa che rischia di soffocare i diritti più essenziali.
Ma quali sono gli affari che hanno permesso alla ‘ndangheta di accumulare un immenso capitale finanziario?
Dai sequestri di persona che hanno sfruttato le boscaglie impervie dell’Aspromonte al traffico di stupefacenti che ha reso la mafia calabrese il partner più accreditato dei cartelli sudamericani, per passare attraverso l’inevitabile connivenza con il potere politico e l’investimento di profitti enormi in imprese situate nel Nord del paese e all’estero.
La dimensione imprenditoriale della mafia calabrese viene documentata e descritta come radicata nelle regioni a maggior industrializzazione del Nord: Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Liguria. La consistenza della sua estensione internazionale è addirittura sconcertante.
Nel testo si fa riferimento a una “ragnatela mondiale” che va dall’America (Canada, Stati Uniti, Sudamerica) alla vecchia Europa, ma anche Sudafrica e ai mercati dell’Oriente.
Il lavoro di Gratteri nasce da vent’anni di attività d’inchiesta: dalle indagini svolte alla fine degli anni Ottanta sulla criminalità diffusa nella Locride a quelle sulla faida di San Luca e sulla strage di Duisburg.
Come racconta nella “Malapianta” per spiegare il fenomeno calabrese parte dalle differenziazioni sui tipi di criminalità. La struttura ed evoluzione di Cosa nostra siciliana è venuta alla luce attraverso anni di indagini e studi, da quanto è emerso dai maxi processi degli anni Ottanta e dalle rivelazioni di collaboratori e testimoni di giustizia. La camorra napoletana è balzata alla notorietà grazie a best seller e cinematografie.
Ma attorno alla ‘ndrangheta calabrese c’è sempre stata una fitta coltre di nebbia che ha senza dubbio aiutato questa organizzazione criminale a divenire, lontano e al riparo dagli schermi e dai rotocalchi, la mafia più potente, un fenomeno che continua a espandersi tra riti di iniziazione pervasi di una simbologia arcaica e potere economico ai massimi sistemi.
La “Malapianta” è un libro storico, un libro di indagine, ma anche un libro di denuncia.
La denuncia ferma di un magistrato che quotidianamente vede la sua funzione depauperata di quegli elementi essenziali senza i quali la lotta per la quale si impegna pervicacemente può risultare inefficace.
Una giustizia sulla quale non si investe, ma che viene impoverita di risorse umane e materiali essenziali e irrinunciabili.
Come in tutte le guerre, la strategia che si deve attuare prevede innanzitutto la conoscenza del nemico e in secondo luogo l’accerchiamento da due versanti: quello repressivo e quello preventivo.
Come ha detto più volte Paolo Borsellino, “la mafia è innanzitutto un fenomeno criminale che va combattuto con un’efficace azione giudiziaria, ma è anche un fenomeno sociale che nasce da una mentalità, si diffonde con una cultura, si manifesta in atteggiamenti di passività, connivenza, cedevolezze, e va arginato mediante una battaglia culturale”.
di Antonella Gilpi