Due dei maggiori protagonisti dei romanzi di Stendhal, Julien Sorel ne “Il rosso e il nero” e Fabrizio Dongo ne “La Certosa di Parma”, condividono la stessa sorte: al termine del loro avventuroso percorso di formazione, arrivano a conoscere séstessi solo in condizioni di prigionia. L’isolamento è dunque indicato dall’autore come tramite per raggiungere la maturità intellettuale.
Henri Beyle, che prenderà lo pseudonimo di Stendhal dal nome di una piccola città della Germania, nacque a Grenoble nel 1787 da una famiglia agiata, scrisse “La Certosa di Parma” tra il 4 novembre e il 28 dicembre 1838 a Parigi, al numero 8 di rue Caumartin in volontaria reclusione.
L’autore per scrivere aveva bisogno di partire da qualcosa di reale e presistente: racconti, aneddoti, veccie cronache e anche cronaca nera.
L’elemento esterno per la creazione della “Certosa di Parma” è rappresentato da un manoscritto italiano che pare di dubbia veridicità storica, “L’origine della grandezza di casa Farnese”.
Internamente strutturata intorno all’opposizione tra dispotismo e liberismo quale era la realtà storica del primo trentennio del XIX secolo il romanzo è una serie di antagonismi tra oppressione, agilità, invariabilità e mutevolezza, forza della stasi o dismessa a soqquadro dell’ordine stabilito.
Di fronte al carattere lento e grave di secoli di dominazione spagnola e austriaca, Stendhal sottolinea dunque come i “miracoli di coraggio e di ingenio di cui fu testimone l’Italia l’avessero sottratta al suo torpore, e fa ricorso ad un intero vocabolario che evoca la gioventù e la vita per descrivere gli effetti di “spensieratezza irragionevole”, di “allegria”, di “eccitazione”, di “oblio” di tutti i pensieri tristi, o anche soltanto “giudiziosi” che succedettero a quell’avvenimento.
La Certosa di Parma è il romanzo della felicità e della gioventù. La “novella”, come la definisce Stendhal nelle sue Avvertenze della Certosa, ha raccontato lo spazio tra il XVI e il XIX secolo, spostandosi da Roma a Parma.
La rapidità della composizione trova il suo completamento e la sua metafora nell’agitazione dei personaggi che si direbbero pensati all’interno di un caleidoscopio: intorno a loro tutto è in continua metamorfosi che può decidere del loro destino per sempre.
La noia, l’uggia esistenziale, da cui Stendhal si sentiva attanagliato nella sua vita di provincia, quando nel 1831 viene nominato console di Civitavecchia, entra nel romanzo come un personaggio negativo: è lei la vera minaccia per lo spirito, il nemico mortale contro cui difendersi.
Antonella Gilpi