Si firmava Antosa Cechontè: come dirà più tardi, la medicina è la moglie legittima, dunque merita rispetto, la letteratura è l’amante, dunque può accontentarsi di uno pseudonimo. Così Anton Čechov iniziò la sua carriera di scrittura: scarabocchiando alcuni racconti ispirati dalla vita e dalla pratica con i suoi primi pazienti come medico.
L’occasione di scrivere gli viene offerta nel 1880, dalla rivista umoristica “La Libellula”. Sette copeche a riga. Massimo venti righe. Al ventenne Anton, studente di medicina al verde, con una numerosa famiglia alle spalle (madre, fratelli) è un’occasione per raccimolare qualche soldo.
Altre riviste “leggi e getta” – “Lo Spettatore”, “Schegge”, “La Gazzetta di Pietroburgo” – offrono all’apprendista narratore poche copeche e poco spazio, ma gli danno lavoro.
Grazie a una lettera del famoso e riverito scrittore Dimitri Grigorovič, Čechov scopre che ha più talento di quanto non ammettevano gli avari committenti delle venti righe e ha soprattutto un pubblico non disattento e superficiale che lo segue. Così scompare Antosa Checontè, ed esce allo scoperto Anton Čechov, che nel 1888 fa il grande passo con il racconto “La Steppa”, di cento pagine.
E’ il viaggio di un ragazzino verso la città dove va a studiare, un viaggio attraverso la steppa, insieme ad una carovana di carri: giorni e notti, soste e bivacchi, stazioni di posta, temporali, contadini e mercanti, prigionieri e osti. Un viaggio iniziatico che si conclude con l’ingresso nell’adolescenza. A questo ne seguirono altri, così iniziò una nuova carriera per il medico russo. Buona lettura.
Antonella Gilpi