Giovanni Falcone nella conversazione con Marcella Padovani raccolta nel libro “Cose di Cosa Nostra”, analizzando il fenomeno mafioso, usò parole pesanti, per coloro che non conoscendo cosa fosse veramente Cosa nostra la classificarono come una struttura di servizio del cosiddetto “terzo livello”.
Falcone dice:” I crimini eccellenti su cui finora non si è riusciti a fare luce, hanno alimentato l’idea del “terzo livello”, intendendo con ciò che al di sopra di Cosa nostra esisterebbe una rete, ove si anniderebbero i veri responsabili degli omicidi, una sorta di supercomitato, costituito da uomini politici, da massoni, da banchieri, da altri burocrati dello stato, da capitani d’industria, che impartiscono ordini alla cupola”.
E aggiunge: “Questa suggestiva ipotesi che vede una struttura come Cosa nostra agli ordini di centro direzionale sottratto al suo controllo è del tutto irreale e rivela una profonda ignoranza dei rapporti tra mafia e politica”.
Ad alimentare questa visione furono noti mafiosi, ma anche alcuni magistrati che con piacenti mezzi di informazione hanno indicato come intransigenti persecutori del “terzo livello”.
“Cose di Cosa nostra” non pretende di costituire la sintesi di tutto quanto si sa della mafia, né di tutto quanto Falcone sa della mafia, ma le sue parole servono a far capire cos’era stata e cos’era Cosa nostra, quali mutazioni erano intervenute soprattutto dopo l’opera della magistratura palermitana che aveva avuto come sbocco il maxiprocesso istituito dallo stesso Falcone, che vide come protagonisti i boss più “autorevoli” e un gruppetto di mafiosi pentiti, tra cui Buscetta, il quale aveva descritto le strutture, i poteri e i delitti di Cosa nostra.
Le venti interviste, raccolte nel libro, che Marcella Padovani aveva fatto al giudice Falcone tra il marzo e il giugno 1991, sono articolate in sei capitoli.
Il primo cerchio tratta della violenza, la manifestazione più tangibile di Cosa nostra. Il secondo dei messaggi e dei messaggeri dell’organizzazione. Il terzo degli innumerevoli intrecci tra la vita siciliana e la mafia. Il quarto dell’organizzazione in quanto tale. Il quinto della sua ragion d’essere: il profitto. Il sesto è consacrato alla sua essenza: il potere.
“Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso – sottolinea in chiusura il giudice Giovanni Falcone – Per lungo tempo, non per l’eternità: perchè la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.
di Antonella Gilpi