di Mariella Continisio
“Da settant’anni porto nel cuore il ricordo di mio padre, morto nel campo di concentramento di Mauthausen Gusen II, dove insieme fummo deportati. Un’esperienza terribile che, da tanti anni, cerco di trasmettere agli studenti che incontro nelle scuole o che vengono a visitare il Centro culturale Deportazione Resistenza”, racconta Alessandro Roncaglio, cremonese d’origine, torinese d’adozione. Ha 87 anni. E’ uno dei testimoni più attivi dell’Olocausto. Con la propria testimonianza contribuisce al mantenimento della memoria della Resistenza e della deportazione. Nella Giornata della Memoria la sua testimonianza è toccante: “Quando racconto quelle vicende è come se si riavviasse un film, in cui rivedo le persone che erano con me. Le guerre sono inutili, servono ad annientarsi. La vita è così breve, tanto vale essere felici per il poco tempo che abbiamo da vivere, perché dobbiamo costruire la pace. Per questo ho perdonato tutti, e quello che ho fatto e continuerò a fare fin che ho vita”. Nel 1929 la sua famiglia, antifascista, fu costretta ad abbandonare il paese d’origine, Soncino, trasferendosi sotto la Mole. Il 1° febbraio 1945, insieme al padre Giovanni, fu deportato.
Come ogni anno la Sala Rossa era gremita per la celebrazione del Giorno della Memoria, per ricordare l’orrore dell’Olocausto e le vittime della Shoah. Dopo la commemorazione e l’omaggio questa mattina ai caduti al cimitero Monumentale le autorità si sono ritrovate a Palazzo Civico. Tanti i rappresentanti di istituzioni, associazioni, militari, familiari delle vittime dell’Olocausto, testimoni diretti. E seduti sugli scranni dei consiglieri anche i bambini della V A della scuola elementare Pestalozzi, che hanno lavorato sulle Pietre d’inciampo dedicate alla famiglia Valabrega e collocate in via Po 25, dove tutti componenti vissero prima di essere deportati. In galleria erano seduti gli allievi della II elementare Domenico Luciano di Givoletto. Tra le tante citazioni degli interventi rieccheggiate tra le mura della sala più rappresentativa della Città, alcune hanno lasciano un segno più profondo di altre: “La memoria non si può cancellare. La terra ha nascosto il loro sangue, ma non ha zittito le loro parole”. “Siamo i figli di una sopravvissuta che secondo la follia nazista non saremmo mai dovuti nascere” ha sottolineato commosso Roberto Duretti, figlio di Stella Valabrega, che riuscì a salvarsi dall’inferno di Auschwitz e nipote di Maria Irene Rossetti e Michele Valabrega, purtroppo periti in quel terribile inferno. Duretti ha poi raccontato la sua esperienza con gli allievi della Pestalozzi, a cui ha narrato la storia della sua mamma, che per timore potesse accadere qualcosa ai figli, sosteneva di avere un’ascendenza ariana. Sono poi intervenuti i bambini che hanno letto alcune frasi: “Le leggi razziali hanno fatto tanto male, siamo tutti uguali. Vorrei che questi fatti non capitino mai più. Come si poteva vivere senza mangiare e bere? Sentire la tristezza delle persone deportate non mi ha fatto bene. Mentre ascoltavo la loro storia piangeva il mio cuore”.
Anche Elena Ottolenghi, che, per salvarsi, con la sua famiglia era sfollata a Villar Perosa e che collabora con il Museo Diffuso al progetto Pietre d’inciampo, nel suo intervento ha posto l’accento sull’interesse dei ragazzi per questa iniziativa e sulla capacità degli insegnanti di coinvolgere i giovani: “Con questo progetto qualcosa è stato fatto”. Fassino ha sottolineato la necessità di rendere onore a quanti hanno perso la vita nella più grande tragedia della storia. “Sei milioni di ebrei uccisi più tanti altri sterminati nei campi di concentramento possono far pensare che l’umanità sia vaccinata, invece non è così. A poche settimane dalla tragedia di Parigi abbiamo percepito che quei fatti riguardavano anche noi e ci impongono di essere costantemente vigili per difendere le conquiste civili e democratiche, contrastando pregiudizi, ignoranza e xenofobia. Quello che accadde 70 anni fa è figlio anche dell’indifferenza di quanti non vollero vedere. Oggi dobbiamo rafforzare i diritti fondamentali, irrinunciabili per una società sempre più multietnica ben rappresentata dai bambini presenti in questa sala”.