Prendendo la parola questa mattina in Sala Rossa nel corso della cerimonia dedicata alla Giornata della Memoria, la sindaca Chiara Appendino ha ricordato, “(…) tra tutti quelli possibili, tre soggetti (…).
I primi sono, ovviamente, le vittime. Coloro che hanno perso la vita e l’anima nei campi di concentramento, scontando un passaggio della storia che ancora oggi ci chiediamo se e come potesse essere evitabile. Ma tra questi ci sono anche i sopravvissuti. Segnati nella pelle e nei ricordi dalla ferocia nazista. Coloro che con i loro racconti rendono la realtà di fatti che alla mente dei più appaiono inimmaginabili.
I secondi sono invece coloro che a questo incubo si opposero. Che in alcuni casi misero in gioco la loro vita pur di salvarne altre. Penso ai 650mila soldati italiani deportati nei campi tedeschi perché dopo l’8 settembre si rifiutarono di servire Hitler. Penso a tutti i nostri partigiani, simbolo della Liberazione che – pur non potendo in alcun modo mitigare le nefandezze di altri loro connazionali che aderirono all’ideologia fascista – conservarono l’umanità del nostro Paese. E penso a chi, in ogni modo, con i fatti o con le idee, non si piegò al pensiero dominante nazi-fascista.
Infine un ultimo pensiero non va a persone ma a un momento. A quel particolare momento in cui tutto ebbe inizio e nessuno – o quasi – se ne accorse.
Tutti noi dobbiamo chiederci ogni giorno: qual è quel momento? In quale pensiero, in quale gesto, in quale simbolo è iniziato tutto? Qual è il confine tra normale è mostruoso? E come è stato possibile che, a un certo punto, questi due elementi fossero fusi in una cosa sola abitando la quotidianità di milioni di persone in Europa che non ne venivano colpite direttamente?
Hannah Arendt, nella sua opera, La banalità del male, scrive a un certo punto: “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale. Né demoniaco né mostruoso”.
Questa frase, a mio avviso, deve rimanere scolpita nella memoria di tutte e tutti, oggi, come nelle prossime generazioni.
La mostruosità può avere tantissimi volti, oppure non averne affatto.
E, proprio pensando alle prossime generazioni, mi rivolgo a tutti noi e ai più giovani.
Non esistono manuali di istruzioni da consultare per capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Chi nella storia ha provato a scriverli si è accorto che presto o prima si sarebbero rivelati quantomeno incompleti, quando non totalmente inadeguati.
Ognuno di noi deve capirlo, con la propria etica, con le proprie conoscenze e con tutta l’umanità di cui è capace.
Le risposte sono nei valori. E questi vanno coltivati, custoditi e cresciuti come il bene più prezioso che avete.
Quel libro dovremo scriverlo, scambiarlo, leggerlo insieme.
E, così facendo, scrivere la storia del futuro. Perché con i valori e la memoria di ciò che è stato possa non ripetersi mai più l’orrore della Shoah ma solo un orizzonte comune per tutte e tutti gli uomini e le donne”.