di Elena Cebrelli in collaborazione con la redazione di Torino Click
Waste Mandala – un “documentario ispirato dalla plastica”, come recita il sottotitolo – dei registi torinesi Alessandro Bernard e Paolo Ceretto, è una delle opere protagoniste della XVIII edizione del Festival Cinemambiente, rassegna cinematografica di respiro internazionale durante la quale vengono presentati i migliori film a soggetto ambientale.
Il tema è quello del massiccio inquinamento di un ex paradiso terrestre, il Nepal e nello specifico la valle della capitale Kathmandu, e di come un gruppo di bizzarri volontari autobattezzatisi Green Soldiers, i soldati verdi, abbia creato una sorta di movimento di liberazione nazionale dai rifiuti, portati inizialmente dal turismo di massa e ormai onnipresenti nelle città, nei boschi, nei fiumi e sulle montagne nepalesi.
Uno dei due registi, Alessandro Bernard, ci spiega innanzitutto che cosa significa il titolo. Che cos’è un “waste mandala”?
Un mandala è una rappresentazione simbolica utilizzata nelle filosofie orientali come veicolo di consapevolezza interiore accompagnata da una trasformazione della realtà esterna. Il mandala è spesso rappresentato in forme circolari più o meno complesse a seconda delle diverse sensibilità e può essere costruito con diversi materiali. Che cos’è quindi un “waste” mandala? È un mandala composto di rifiuti, di plastica. L’idea dei Green Soldiers nepalesi, guidati dalla guida di montagna Achut Gurung, è stata quella di costruire in una delle piazze principali di Kathmandu – Durbar Square – un enorme mandala composto di pezzi di plastica colorata, con lo scopo di sensibilizzare i propri concittadini alla raccolta dei rifiuti.
Puoi raccontarci qualcosa sui Green Soldiers e sul fondatore Achut Gurung?
I Green Soldiers sono un gruppo di volontari uniti circa 5 anni fa dallo spirito di iniziativa di Achut Gurung. Ogni sabato Achut e i suoi collaboratori più stretti chiamano a raccolta con un megafono i loro connazionali e iniziano a pulire i cumuli di plastica onnipresenti sul territorio, forti del loro motto “nessun cambiamento è possibile senza l’azione”. Achut è un personaggio vulcanico che ha vissuto in prima persona la forte trasformazione subita dal Nepal negli ultimi decenni. Il paese, infatti, da isolato paradiso terrestre è passato ad essere meta del turismo di massa occidentale e cinese; la sua economia tradizionale e rurale è quindi diventata una sorta di vittima sacrificale del consumismo estremo. Secondo Achut, la modernità da sola non ha portato il Nepal da nessuna parte. Per questo ha deciso di parlare alla sua gente con il linguaggio semplice della tradizione: il mandala costruito con la plastica colorata è servito proprio a questo scopo, a ricordare ai cittadini nepalesi e alle istituzioni che il male non è la plastica in sé, ma il suo abuso. I nepalesi hanno trovato una loro chiave di lettura, si sono riappropriati di un simbolo che rischiava di essere dimenticato e gli hanno dato una nuova vita, utilizzandolo come viatico di consapevolezza e buona volontà.
Hanno raggiunto il loro obiettivo?
La strada è ancora lunga ma – forse sarà un caso o forse no, a noi piace pensare di no – dopo la costruzione del mandala, avvenuta due anni fa, qualcosa si è mosso: il governo nepalese ha vietato la commercializzazione dei sacchetti in plastica nella valle di Kathmandu e ha dato inizio alla ricostruzione dei greti dei torrenti, lungo i quali la maggior parte della plastica rimane incastrata formando delle vere e proprie isole di immondizia. L’inquinamento dei fiumi costituisce un affronto particolare alla sensibilità dei nepalesi, anche perché la loro tradizione prevede lo spargimento delle ceneri dei defunti nelle acque fluviali. Nel documentario Achut, infatti, ricorda tristemente che le ceneri di suo padre sono state sparse in uno di questi fiumi invasi dalla plastica.
E qualche aneddoto sulle riprese?
I miei soggiorni in Nepal sono stati tutto sommato piuttosto brevi: una decina di giorni inizialmente per prendere i primi contatti con i Green Soldiers e poi un mese circa di riprese con Paolo Ceretto. Non è stato semplice entrare nella mentalità nepalese, che è molto diversa dalla nostra: gli appuntamenti in “nepali time” – l’ora “nepalese” – non sono precisi e rigidi come i nostri; l’ambiente è colorato, rumoroso e spesso confusionario. Una volta entrati nel loro modo di vivere però tutto è filato via liscio e sia io, sia Paolo, abbiamo stabilito ottimi rapporti a livello umano con Achut e gli altri volontari.
Siamo stati in Nepal ancora quindici giorni proprio in concomitanza con il fortissimo terremoto del 25 aprile di quest’anno, che ha colpito soprattutto la valle di Kathmandu, e abbiamo visto l’incredibile presenza di spirito dei nepalesi nell’affrontare le ripetute scosse. I Green Soldiers in particolare si sono mobilitati per portare sacchi di riso ai terremotati e, con la forza d’animo che è loro solita, appena una settimana dopo il sisma, sei volontari hanno ricominciato instancabili a raccogliere i rifiuti in plastica sparsi in giro.
Poco prima della scossa iniziale io e Paolo stavamo aspettando un gruppo di ballerini che avremmo voluto inserire nel documentario: una scena di danza in stile bollywoodiano con la raccolta di plastica a ritmo di musica. Chiaramente la scena non è mai stata girata.
Secondo la vostra esperienza, Torino offre buone opportunità come spazio creativo?
Inutile negare che ci siano difficoltà in generale a reperire fondi. Per questo motivo noi abbiamo cercato sin da subito servizi e partner più che finanziamenti in denaro. Forse siamo stati fortunati ma, da questo punto di vista, Torino si è rivelata un’ottima base creativa, a partire dai nostri studi al DAMS, passando per la Film Commission e per molte altre realtà creative e associative ad accesso più umano, rispetto alle scene più complicate e competitive di Roma e Milano. Torino, inoltre, è molto dinamica nell’ambito dei documentari. In questo fertile clima torinese abbiamo prodotto, con l’Associazione Docabout e la casa di produzione indipendente Zenit Arti Audiovisive, anche alcuni nostri precedenti lavori: il documentario “Quando Olivetti inventò il pc” e la serie web “Con gli occhi di una trans”.
Raccontaci la vostra partecipazione a Cinemambiente.
Waste Mandala è una produzione indipendente. Durante l’edizione 2014 di Cinemambiente Lab abbiamo presentato un pre-montato del documentario e, grazie a questa prima proiezione, è stata imbastita quella rete di relazioni che ha portato alla produzione del documentario e alla sua diffusione anche tramite la RAI.
La pellicola sarà proiettata venerdì 9 ottobre alle 18.15 al Cinema Massimo 3. L’ingresso è gratuito.
Inoltre, domenica 11 ottobre, dalle 10 alle 18, in Piazza Castello siete tutti invitati a partecipare alla realizzazione di un grande mandala di rifiuti, effettuato sulla base di un nostro disegno, con il doppio obiettivo sia di sensibilizzare i torinesi e i turisti sulla raccolta rifiuti anche nei nostri paesi, sia di raccogliere fondi per la ricostruzione in Nepal dopo l’evento sismico di aprile. Crediamo molto nella potenza di questa iniziativa, che si può ricondurre alle potenzialità di trasformazione legate alla costruzione del mandala stesso e, quindi, speriamo in una grande affluenza di pubblico!