Leonardo fu uomo di scienza, ma anche di mondo. Viaggiatore curioso e instancabile, capace di intuire e interpretare la realtà attraverso il suo genio, riversava il suo creativo approccio anche sulle piacevolezze della vita quotidiana. Come la tavola.
La rassegna torinese offre diversi spunti per un viaggio sensoriale e per l’approccio ai menù leonardeschi e, più in generale, rinascimentali. Leonardo a tavola: il tour è un percorso guidato per scoprirne il pensiero sul cibo e l’alimentazione partendo dalla sua lista della spesa. “Leonardo a tavola: la cena” presenta una cena didattica con menu dedicato al grande genio vinciano, tratta dalla “lista della spesa” su ricette dello chef Enrico Panero.
Dalle sue ricerche non uscirono soltanto le prime macchine per volare, o complessi artifici guerreschi. Inventò nuove tecniche di cottura, forni e alambicchi, girarrosto e affumicatori per carni, macine. Chiamato alla corte di Ludovico il Moro, vi restò per ben 17 anni, fino al 1499. Realizzò per il sovrano allestimenti scenici di banchetti e spettacoli per intrattenere i nobili ospiti. Il 13 gennaio 1490 mise in scena la Festa del Paradiso in onore delle nozze di Isabella d’Aragona con Gian Galeazzo Sforza. Nel Castello Sforzesco allestì una grandiosa festa con rappresentazione allegorico-mitologica e un banchetto di pari importanza.
Una leggenda, surrogata da un introvabile “Manoscritto Romanoff” che sarebbe custodito all’Hermitage, ci racconta di un Leonardo cameriere e chef nella Locanda delle Tre Lumache, vicino al Ponte Vecchio di Firenze, tra il 1473 e il 1478. Vi si legge che Leonardo passò da cameriere a chef per la morte per avvelenamento dei cuochi che lo precedettero e che, una volta presone il posto, in affinità con la moderna nouvelle cuisine, ridusse la quantità delle portate, puntando sull’originalità e sulla composizione dei piatti.
Dalle Tre Lumache alle Tre Rane: con l’amico Sandro Botticelli apri poi un nuovo ristorante che chiuse in breve tempo per l’eccessiva originalità dei piatti proposti. Trattasi di leggenda, e come tale la riferiamo.
Una delle ricette inventate da Leonardo fu l’acquarosa, una miscela di acqua, limone, zucchero ed estratto di rosa, o la zuppa di agrumi, il cui succo veniva sbattuto con uovo e brodo. Propose antipasti veloci, composti in forme originali come fette di carota scolpiti a cavalluccio marino, con capperi e pasta d’acciughe. O la cipolla lessa su formaggio di bufala con olive nere. Ma le sue ricerche si ampliarono alle proprietà delle verdure anticipando l’approccio della biochimica in cucina.
Viene attribuito a Leonardo anche un galateo per la tavola: 27 regole di buona creanza la cui lettura fa pensare che partecipare a un banchetto a quell’epoca non fosse un’esperienza esaltante. Dalla necessità di non sedersi sul tavolo, né di posarci i piedi, o di sedersi in braccio a un commensale, al precetto di “non restare a tavola troppo a lungo”; nemmeno di posare la testa sul piatto, o posare bocconi smozzicati nel piatto del vicino “senza prima chiedergli il premesso”, pulirsi l’armatura a tavola, sputare o tirare su col naso. Un po’ di decoro, insomma, par dire il pre-Brillat-Savarin.
La cucina leonardesca sarà oggetto di alcuni incontri promossi da Barbara Ronchi della Rocca, che illustrerà aneddoti e notizie tratti dal Codice Atlantico e dalla “lista delle spesa” contenuta in uno dei manoscritti conservati a Torino nella Biblioteca Reale.
Non solo il gusto, ma anche l’olfatto fu preso in considerazione dal maestro, forse per ingraziarsi gli ospiti di corte: un percorso sensoriale per conoscere i segreti delle fragranze utilizzate dalle nobili dame del tempo è una delle proposte del programma: dall’acqua di rose cara a Isabella d’Este all’acqua mirabile di Caterina Sforza, allieva di da Vinci, fino alla preziosa e misteriosa acqua nanfa, ricetta araba dal fascino immortale.
Mauro Marras