Preceduta questa sera dall’incontro con Helena Janeczek, autrice de “La ragazza con la Leica”, biografia romanzata su Gerda Taro con la quale la scrittrice ha vinto nel 2018 il Premio Strega parte domani, nel giorno di San Valentino, la mostra dedicata da Camera, Centro Italiano per la Fotografia di Torino alla fotografa tedesca e al suo compagno Robert Capa.
Curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, ““Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra” racconta il loro legame professionale e sentimentale, bruscamente interrotto con la morte della fotografa durante la guerra civile spagnola. Oltre 120 scatti che consentono di ripercorrere uno dei momenti cruciali della storia della fotografia del XX secolo.
Al secolo Gerta Pohorylle e Endre Friedmann. Tedesca una, ungherese l’altro, i due si incontrarono a Parigi nel 1934, stringendo nei cafè del Quartiere Latino un sodalizio artistico e sentimentale che li portò a impegnarsi tra lotta politica e fotografia. Per trovare committenze in una Parigi invasa da intellettuali e artisti da tutta Europa, Gerda (che diventa Taro) si inventa il personaggio di Robert Capa, famoso fotografo americano da poco arrivato nel continente: è l’alter ego con cui Endre – già francesizzato André – si identificherà fino alla morte.
Il 1936 è l’anno della svolta. In agosto i due vanno in Spagna per documentare la guerra civile, scattando di lì a breve alcune delle foto più iconiche delle proprie carriere: il leggendario scatto del Miliziano colpito a morte, Capa, e la miliziana in addestramento, con pistola puntata e tacchi, Taro. I due testimoniano gli scontri ufficiali e la vita quotidiana dei combattenti, e i loro scatti vengono pubblicati sui maggiori giornali del tempo: Vu, Regards, Life. La coppia – che spesso firma con un’unica sigla, senza distinzioni – tocca ufficialmente la fama.
Tra il 1936 e il 1937 i due si spostano tra Parigi e la Spagna, seguendo tumulti politici e convegni, dagli scioperi nella capitale francese e le elezioni del ’37 (con la vittoria del Fronte Popolare) fino al Convegno Internazionale degli Scrittori Antifascisti a Valencia, dove Taro immortala André Malraux, Ilya Ehrenburg, Tristan Tzara, Anna Seghers. La vita della fotografa si interrompe poco dopo: durante la battaglia di Brunete (24 luglio del 1937) venne involontariamente investita da un carro armato. A lei sarà dedicato il volume che Capa – poi co-fondatore dell’agenzia Magnum – darà alla luce l’anno successivo, Death in the Making. Molti degli scatti contenuti in questa epica raccolta sono oggi in mostra, con una chicca: la riproduzione di provini dalla celebre “valigia messicana” (ritrovata nel 2007 dopo quasi 70 anni), con 4.500 negativi scattati in Spagna dai due insieme all’amico David “Chim” Seymour.
A Camera prendono anche il via in contemporanea altre due esposizioni dedicate ai graffiti di Saul Steinberg fotografati da Ugo Mulas e all’opera di Michele Pellegrino. Nella mostra Ugo Mulas. I graffiti di Saul Steinberg a Milano, a cura dell’Archivio Ugo Mulas e di Walter Guadagnini, sono protagoniste le creazioni del grande illustratore e disegnatore Saul Steinberg immortalate da un giovane Ugo Mulas. Nel 1961 Steinberg realizza una straordinaria decorazione a graffito dell’atrio della Palazzina Mayer su commissione dello Studio Bbpr. A lavoro compiuto, chiede a Mulas di testimoniare l’opera. Nel 1997 la palazzina viene nuovamente ristrutturata e i graffiti distrutti: rimangono solo le foto di Mulas. La mostra Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023, organizzata da Camera e Fondazione Crt, a cura di Barbara Bergaglio e un testo di Mario Calabresi, si compone di 50 immagini del fotografo Michele Pellegrino. Una antologica dell’intero suo percorso creativo, tra montagne, ritualità, volti e momenti del mondo contadino.