A cura di Michele Chicco
Abbiamo intervistato il coordinatore scientifico di Biennale Democrazia Gabriele Magrin (nella foto), sui significati e sulle aspettative della manifestazione.
Questa quarta edizione di Biennale Democrazia si svolge in un periodo dove il concetto di democrazia è messo in discussione da più parti. Queste “lezioni di educazione civica” che senso hanno?
I vari incontri e progetti di Biennale Democrazia assumono grande importanza se considerati nell’ottica della necessità per le giovani generazioni di continuare a dialogare con quelle precedenti.
Pensando al tema di quest’anno, Passaggi, è fondamentale che ci sia una comunicazione efficace e fruttuosa tra le culture politiche di generazioni diverse. Per questo motivo, da sempre Biennale Democrazia crede fermamente che l’investimento sui giovani sia imprescindibile. Non per impartire loro fredde e isolate lezioni di educazione civica, ma per coinvolgerli in maniera attiva nella produzione dei contenuti dell’evento.
Avete un riscontro concreto nel pubblico che vi segue?
Riceviamo risposte continue, soprattutto rispetto a due tipi di realtà: il mondo delle scuole e dell’Università, sempre più coinvolto nei grandi progetti di Biennale Democrazia, da un lato; dall’altro, settanta soggetti della società civile tra associazioni, collettivi e soggetti privati che presentano proposte intelligenti e forniscono stimoli continui. Ciò fa sì che Biennale Democrazia sia sempre di più una manifestazione che crea valore sociale, proprio perché capace di coinvolgere.
La platea a cui vi indirizzate è quella dei ragazzi. Non è un limite avere come pubblico di riferimento i più giovani?
Al contrario, Biennale Democrazia ha da sempre dimostrato di essere un luogo di incontro tra generazioni diverse. Quest’anno, ad esempio, inviteremo i giovani coinvolti nei percorsi formativi a partecipare a un incontro con Carlo Ossola, docente al College de France, che parte da Aristotele per affrontare il tema del conflitto tra civiltà. D’altro canto, cercheremo di coinvolgere anche adulti e meno giovani a un incontro sul tema dei videogiochi. Un aspetto molto importante è proprio che tutti gli incontri hanno uguale importanza, fanno tutti parte del programma unico di Biennale Democrazia, siano essi organizzati da studenti o adulti.
Che cosa può imparare un adulto, un genitore, partecipando agli eventi?
Può mettersi in ascolto, che non è una cosa così frequente nella società odierna; può imparare modi diversi di comunicare, può conoscere le tante modalità espressive dei più giovani. Un genitore ha l’occasione di capire quanto può essere “mobile” l’identità dei propri figli e di chi ha molte occasioni di cambiare la propria vita di continuo, spostandosi da una parte all’altra del mondo o cambiando spesso lavoro, ad esempio.
La democrazia intesa come l’idea della partecipazione dei cittadini al governo della polis trova origine già nella realtà antica ateniese, ma oggi, immersi in uno scenario a volte inquietante e, per molti aspetti nuovo, vi aspettate che i politici, che dovrebbero frequentare gli incontri di Biennale Democrazia, possano trarre qualche spunto di riflessione e di innovazione?
Direi proprio di sì. Perché Biennale Democrazia è un luogo nel quale la cultura in un certo senso svolge un ruolo politico, che è diverso da quello dei politici di professione. Prefigura scenari, analizza le crisi, fornisce categorie interpretative della realtà. Ci aspettiamo che i politici ascoltino con attenzione cosa ha da dire il mondo della cultura e che ne facciano tesoro nel momento in cui dovranno proporre soluzioni intelligenti rispetto alle grandi questioni della nostra epoca. Tutto questo nel quadro di un rapporto di costante separazione /dialogo tra i due ambiti, tra la cultura e la politica.
E’ auspicabile in questo momento storico pensare a una trasformazione dell’idea di democrazia, e fino a che punto ci si può spingere?
Più che dell’idea, credo sia auspicabile una trasformazione delle attuali pratiche della democrazia. Oggi le democrazie si caratterizzano sempre più come democrazie dei leader, della singola personalità al comando. E, inoltre, hanno accentuato il loro carattere elitario. L’idea di fondo della democrazia, invece, continua a essere sostanzialmente una: il potere va suddiviso fra tutti i membri del corpo politico, in maniera equa. È sui modi di farlo al meglio che si può discutere. Ad esempio, integrando la democrazia rappresentativa con nuove forme di democrazia deliberativa, rese possibili anche dallo sviluppo di nuovi spazi di partecipazione, come quelli aperti da internet. Nuove opportunità da cogliere, dunque, rimanendo fedeli al senso originario della democrazia.
Il concetto di democrazia come si concilia con le tirannie dilaganti e con la deriva del fanatismo religioso?
Non si concilia, ovviamente, ma la democrazia non si può considerare come mondo a sé, isola felice non interessata da fenomeni preoccupanti come il rafforzarsi di alcune tirannie e le derive del fanatismo. Prendiamo il jihadismo, ad esempio: è un fenomeno politico e non religioso, è una degenerazione politica che si serve dell’Islam. E dunque bisogna chiedersi come nasce l’estremismo politico, che ruolo hanno in questo processo le attuali democrazie, chiedersi se addirittura possono essere parte del problema. Non possiamo cavarcela dicendo che tirannie e fanatismo non ci riguardano, perché non è così, la realtà è più complessa. E va capita.