di Gianni Ferrero
Full immersion questa mattina nell’aula magna dell’Ateneo, alla Cavallerizza, sulle virtù di Torino e sulle carte da giocare nel mondo globale. Già capitale tre secoli fa del Regno di Sardegna, la città vanta una consolidata tradizione nei rapporti internazionali, e non potrebbe essere altrimenti. Formazione, industria, relazioni diplomatiche, terziario e finanza ne fanno una città a più vocazioni, che si è lasciata alle spalle consolidato per gran parte del Novecento il ritratto di one company town. Il sindaco Piero Fassino ha avuto buon gioco a presentare agli amministratori di Helsinki e ai rappresentanti di Manchester e Malaga, il modello torinese, intervenuti a loro volta a presentare le esperienze positive dei loro territori: “Torino vive e respira una dimensione internazionale in tutte le sue attività. Abbiamo il dovere di pensare sempre di più la città in questo senso e Il terzo Piano Strategico della Città, che presenteremo il
21 marzo ha nell’internazionalizzazione una delle principali leve di sviluppo“.
Lo studio condotto da Bruno Dente ed Enrica Melloni dell’IRS, l’Istituto per la ricerca sociale di Milano, analisti incaricati da Torino Internazionale|Strategica (http://www.torinostrategica.it/) di approfondire le potenzialità internazionali del distretto dimostra che il capoluogo ha i numeri giusti per concolidarsi in un efficiente polo strategico : “Si calcola che il 75% della popolazione mondiale nell’arco dei prossimi trent’anni si stabilirà nelle conurbazioni di almeno 250 mila abitanti – ha sottolineato il sindaco passando in rassegna le potenzialità che saranno analizzate nel corso della presentazione ufficiale del piano strategico Torino 2025 – . Vincenti saranno i luoghi attrattivi sotto il profilo della qualità urbana e culturalmente e in questo senso Torino lo è”.
In questi ultimi anni è cambiato il profilo demografico: Il 17% della popolazione torinese è di origine straniera, centomila addetti in Piemonte sono dipendenti di aziende a capitale estero e le banche d’affari internazionali guardano con interesse alle aree come quella racchiusa dai capoluoghi piemontese e lombardo. Torino, infatti, continua a essere uno dei principali contesti esportatori italiani, secondo solo all’hinterland milanese, in cui domina il comparto manifatturiero e, al suo interno, il settore dell’automotive continua a essere quello di maggior rilievo. La ricerca ha analizzato gli ultimi dieci anni di strategie e progetti, esaminando indicatori e offrendo un repertorio di casi di successo utili alla costruzione di una strategia integrata e focalizzata. Dallo studio emerge come Torino abbia imboccato la strada giusta.
“La nostra – sottolinea il rettore dell’Università Gianmaria Ajani – è una università aperta al mondo che conta su una fitta rete di accordi di scambio e cooperazione con istituti in tutti i Continenti, ospitando un numero crescente di studenti e ricercatori stranieri. Sul contesto del futuro sviluppo siamo impegnati ad accorciare le distanze tra formazione, ricerca, innovazione e trasferimento di conoscenza alle imprese. Abbiamo diversi progetti in campo, dall’incubatore culturale allo sviluppo del polo didattico integrato in scienze agrarie e veterinarie a Grugliasco”.
Il caso di Helsinki, illustrato da Santuu Von Bruun, ha indicato agli intervenuti le strategie di attrazione di capitale umano a supporto della manifattura locale; ma si è anche parlato delle esperienze di alcune città statunitensi legate all’integrazione degli studenti stranieri, impiegati a supporto di imprese locali interessate allo sviluppo di attività di export con i paesi di provenienza. Oppure dall’esperienza di Manchester è venuta un’utile indicazione di come l’investimento nel settore sportivo – marchi, società calcistiche ed eventi sportivi – ha costituto un volano per il rafforzamento dell’economia locale in una pluralità di settori, a cominciare da quello della ricettività.
Tornando al caso Torino la tradizione di capitale manifatturiera, modello trainante per il Paese, è confermata dagli indicatori economici.
Lo studio sull’internazionalizzazione del sistema torinese condotto dal professor Bruno Dente sottolinea come avere un profilo internazionale oggi non sia un’opzione, ma una necessità: “Essere aperti, connessi al mondo, saper accogliere i talenti, attrarre investimenti globali, parlare le lingue significa avere un vantaggio competitivo sostanziale – che aggiunge- La scala dell’internazionalizzazione è cambiata: non possiamo guardare all’Europa, ma dobbiamo guardare al mondo intero. L’internazionalizzazione è un fatto globale”.
Torino continua ad essere una delle principali province esportatrici italiane (5,1% delle esportazioni nazionali), seconda solo a Milano (9,6%). Domina il comparto manifatturiero (98,8% del totale) e al suo interno il settore automobilistico continua ad essere quello di maggior rilievo (40,5% del totale dell’export nel 2013).
Benché il principale mercato di sbocco delle esportazioni sia l’Europa (47,3% del totale dell’export 2013), con Germania, Francia, Svizzera, Gran Bretagna, le esportazioni diminuiscono in tutti i paesi UE (-11,7 % in UK, -8,8% in Romania tra il 2011 e il 2012), mentre crescono nei paesi extra UE (+51% in Messico, + 32% in Giappone). Crescono gli studenti stranieri: nel corso degli ultimi dieci anni gli iscritti nelle università piemontesi sono aumentati di sei volte, arrivando a 8.500 nell’anno accademico 2012/13. Al Politecnico gli stranieri sono il 15% del totale (mentre sono 5,8% all’Università di Torino, il 5,6% alla Piemonte Orientale, il 28,5% a Scienze gastronomiche). Cresce anche il numero di posizioni imprenditoriali straniere, che a Torino (8,2%, pari ad oltre 30mila unità) è più alto che nella media italiana (7,2%).
E crescono i turisti, soprattutto nazionali: “La progettazione è diffusa – ha spiegato in dettaglio Bruno Dente – e si traduce in una molteplicità di iniziative in corso in oltre 100 Paesi. La consuetudine con la progettazione europea è molto elevata”.
I punti critici sono in parte dovuti alla congiuntura economica e quelli infrastrutturali dei collegamenti, ancora da potenziare. Oltre alla riduzione delle importazioni, la crisi produce un calo dell’attrattività dell’area, che non si colloca tra le destinazioni di punta.