di Gianni Ferrero
Michelangelo Buonarroti ammirato dalla sua stessa capacità creativa alla conclusione dell’imponente capolavoro del Mosè, nella basilica capitolina di San Pietro in Vincoli, scagliò per terra lo scalpello esclamando “perché non parli?” A 5oo anni di distanza il mutismo delle statue e, più in generale delle opere artistiche, potrebbe essere colmato dalla voce affidata allo storytelling facilitato dalle tecnologie digitali che con positiva invasività hanno fatto la comparsa nel XXI secolo. Gli ingredienti sono già tutti presenti: wi-fi, intelligenza artificiale, realtà virtuale, sniffing sul gusto dei visitatori, introduzione di automatismi, come quello del magazzino della Amazon che potrebbe fare scuola a un museo londinese, trasformando i visitatori in curatori che automaticamente scelgono le opere d’arte da ammirare prelevandole direttamente dai magazzini. Le potenzialità dello smartdust, in inglese polvere intelligente, ovvero il network dei sempre più microscopici sistemi elettromeccanici messi in comunicazione dal wireless, aprono possibilità di trasformazione dei musei, impensabili fino a qualche anno fa . E offrono varchi di conoscenza del pubblico che riservano sorprese: come lo studio sui minuti effettivi di sosta di fronte alle opere d’arte custodite al Louvre, una media di 180 secondi per sala se si eccettua la Venere di Samotracia, davanti alla quale ci sono delle sedute. Insomma approfondire le scelte selettive dei visitatori potrà aiutare i conservatori a ridefinire gli allestimenti. E’ lo scopo efficace di “Museum, vision 2026”, un workshop che ieri e oggi ha richiamato duecento congressisti nella sala dei ricevimenti di Palazzo Madama, aprendo un squarcio sulla godibilità dei beni culturali negli anni a venire, attraversando il guado delle risorse pubbliche sempre più misurate e delle nuove frontiere del crowdfunding, che è attrattivo per gli investitori privati, a condizione che attorno all’arte del passato sia costruita e di continuo aggiornata la narrazione, proprio sulla falsariga del marketing commerciale.
E’ su questi temi affascinanti che ha preso il via il dialogo ieri mattina con il saluto di Patrizia Asproni, presidente della Fondazione Torino Musei difronte a diversi ospiti di caratura internazionale. Il confronto è stato organizzato insieme alla Singularity University Geneve, proprio con l’intento di monitorare gli scenari museali che si potranno sviluppare in questi primi anni del terzo millennio.
Nicoletta Iacobacci direttrice di Singularity University Geneve, una sezione dell’istituzione fondata nel 2008 da Peter Dimandis e Ray Kurweil nel Nasa Research Park, nella Silicon Valley californiana ha presieduto i lavori e tracciato gli scenari dei prossimi due lustri: “Il nostro obiettivo è quello di spalancare un finestra sul futuro, su ciò che accadrà alle nostre esperienze di responsabili museali e come queste influiranno direttamente sulle componenti sociali ed economiche della società, in un contesto di profonde mutazioni, di sovvertimento dei concetti di arte e scienza. I congressisti sono stati accolti a Palazzo Madama dal direttore Guido Curto, in uno degli edifici monumentali più rappresentativi della città. Sorto sull’antica porta di accesso al castrum romano del I secolo avanti Cristo ha subito varie trasformazioni, da fortezza, a castello, a residenza di due duchesse di casa Savoia: le Madame Reali da cui prende il nome. Un palazzo il cui affascinante rinnovamento barocco si deve a Filippo Juvarra, uno tra i più illustri architetti del Settecento.
Tra i temi trattati l’incidenza delle tecnologie, e come esse influenzano il nostro modo di vivere, alla convergenza tra comunicazione, tecnologia e scienza; dagli artigiani oltre il digitale al museo al servizio della comunità; per concludere con l’elaborazione di attività, tendenze e scenari per il museo del futuro. Tra gli intervenuti Dale Herigstad, vincitore di 4 Emmy Award, co-fondatore di SeeSpace e punto di riferimento sul futuro dei media interattivi, Chloe Jarry – responsabile progetti cross-media tra cui The Enemy Project – Giovanni De Niederhausern, direttore della Carlo Ratti Associati e Marcela Sabino, direttrice del nuovo Museo del domani (Museu do Amanhã) di Rio de Janeiro, che in sei mesi ha accolto 600 mila visitatori.
Aprire i giacimenti di cultura in forma nuova, arricchendoli con un contorno di significati composto dai legami con i territori originari, contestualizzare i luoghi dove i beni hanno preso forma, esplorare le stratificazioni storiche e di significato maturate nelle diverse epoche sono alcune delle stimolazioni espresse dal workshop. Ricollocare una pala d’altare in un luogo il più fedele possibile alla sacralità di una chiesa, nel profumo di incenso, darebbe ai visitatori emozioni vicine al reale. Ma anche superare il concetto tradizionale della didascalia sotto un dipinto, dotandola di interconnessioni ad esempio con gli altri enti museali che custodiscono le altre opere dell’artista, può aiutare l’ammiratore a uscire da una pinacoteca arricchito e soddisfatto. Sullo sfondo delle riflessioni della due giorni anche il dibattito sulla musealizzazione dei beni culturali e l’annosa questione di Atene che chiede al British Museum di Londra di restituire i frammenti del Partenone.