Con la deposizione di una corona di alloro al Cimitero Monumentale sono stati onorati i martiri dei campi di concentramento, nella Giornata della memoria della deportazione politica e militare.
Oggi, in occasione dell’anniversario della liberazione, il 5 maggio 1945, di Mauthausen, ultimo campo di concentramento a essere liberato dall’esercito americano, sono diversi gli appuntamenti organizzati in città. Oltre al camposanto di corso Novara, si è svolta una cerimonia alla stazione di Porta Nuova, al binario da dove partivano i convogli ferroviari diretti ai campi di internamento e, nel pomeriggio, si svolgerà una commemorazione in Sala Rossa, in municipio.
A rappresentare la città questa mattina è intervenuto l’assessore comunale al patrimonio. Toccanti le testimonianze di Susanna Maruffi, figlia di Ferruccio, superstite di Mauthausen, animatore per tanti anni dell’Associazione Nazionale ex Deportati e quella del generale Franco Cravarezza, alla presenza di uno degli ultimi superstiti, Mario Rovaretto, internato a Dachau. Quello di Mauthausen fu uno dei più crudeli campi nazisti, una fortezza in pietra eretta dal 1938 in cima a una collina dell’Oberdonau, in Alta Austria, a circa 20 chilometri a est di Linz. Gli storici hanno spiegato come quello sia stato il regno del terrore del comandante Ziereis e del suo vice, Bachmayer, che ne fecero un “inferno sulla Terra”, forse il più spietato lager dell’universo concentrazionario nazista. In questo luogo di tortura e di morte transitarono 197.464 persone: 192.737 uomini e 4.727 donne. Al momento della liberazione, nel maggio ’45, si trovavano circa 66.500 deportati – 1.734 erano donne – molti dei quali in condizioni tali da non sopravvivere a lungo. Circa 200mila tra uomini, donne, anziani e bambini di differenti nazionalità furono dunque internati qui oppositori politici, persone perseguitate per motivi religiosi, omosessuali, ebrei, zingari, prigionieri di guerra e anche detenuti comuni. La metà di essi fu uccisa, o morì a causa delle inumane condizioni di vita e di lavoro.
Su quella collina i deportati conobbero il martirio della prigionia, l’orrore dei forni crematori, la morte con il lavoro, nelle camere a gas e negli altri molteplici modi violenti. Gli italiani che conobbero la durezza di quel campo furono oltre 8 mila.