di Gianni Ferrero
Nel silenzio di una mattina autunnale, piuttosto che primaverile, alcuni scolari delle torinesi Bobbio, Abba, Novaro e della scuola ebraica insieme ad allievi dell’Istituto Albe Steiner sono saliti in composto pellegrinaggio al Pian del Lot,a mezza costa sulla collina che dà su Torino, per posare garofani rossi e bianchi ai piedi della lapide che rende omaggio ai 27 giovani partigiani, prelevati dalle celle delle carceri Nuove all’alba del 2 aprile 1944, accompagnati ignari fin quassù e uccisi con una scarica di mitraglia da un plotone di nazisti.
Oggi, nel settantaduesimo anniversario dell’eccidio, rappresentanze delle associazioni legate alla memoria della Resistenza, l’Anpi per bocca della presidente Maria Grazia Sestero, la comunità israelitica con il rabbino capo Ariel Di Porto, il Consiglio Regionale con il vicepresidente Nino Boeti e il Comune, con il sindaco Piero Fassino, hanno pronunciato parole commoventi per ricordare il sacrificio di quei giovani, vittime di una rappresaglia spietata.
Il più vecchio aveva 30 anni, il più ragazzo ne aveva 18. Al Pian del Lot, radura ombrosa nascosta al fondo di una gola, videro sfumare affetti, passioni, ideali e il loro profondo desiderio di libertà. Qui si fermò per sempre il loro cuore tramontando i sogni di un futuro quieto, del vivere finalmente in una società civile pacifica e democratica dopo le torture del totalitarismo.
Dopo la messa nella cappella di San Vito officiata da Monsignor Tommaso Ribero, voluta dagli ultimi parenti dei caduti la banda musicale della Polizia Municipale ha eseguito l’inno nazionale. A rendere gli onori il Gonfalone di Torino con quello della Città Metropolitana e della Regione, e i soldati del picchetto del Reparto Trasmissioni Frejus:
“Celebrare il loro sacrificio – ha sottolineato il sindaco – non è un atto formale o rituale, ma ha un significato preciso: quello di rendere onore ai tanti che hanno pagato con la vita la nostra libertà e che prima di morire hanno sopportato l’atrocità della barbarie umana“.
Senza alcuna compassione. Senza pietà, la rappresaglia era stata ordinata con estrema durezza dal comando nazista a seguito della perdita di un loro soldato impiegato in una batteria antiaerea. Alcuni di questi poveri partigiani, quasi tutti torinesi e, fra loro, l’ebreo Walter Rossi, furono prelevati dalle celle dove erano finiti in seguito ai rastrellamenti effettuati nelle Valli di Lanzo, Pellice, Chisone e Germanasca. Inconsapevoli vennero caricati sui camion e portati fin quassù per l’esecuzione. Con le mani legate furono avvicinati alla fossa, dove a gruppi di quattro furono colpiti dalle pallottole. Tragedia nella tragedia, alcuni furono ricoperti dalla terra, feriti, ma ancora vivi e coscienti.
I loro corpi furono riesumati l’anno successivo, il 27 maggio 1945, dopo la Liberazione, a guerra finita. Nella fossa si contarono 27 massacrati, 7 dei quali non vennero mai identificati.
“Siamo qui per affermare un impegno: ciò che accadde allora non deve accadere mai più. Conoscere questi fatti dolorosi – ha detto Fassino rivolgendosi ai ragazzi – fa maturare consapevolezza specialmente in un momento storico molto complesso e pericoloso come quello attuale. Diversi popoli continuano a dover lottare affinché i diritti fondamentali siano affermati e riconosciuti. Perchè nonostante la storia abbia conosciuto guerre e stermini, c’è sempre il rischio che quello che è accaduto possa ripetersi”.
Lo dimostrano le diverse crisi in atto in questi ultimi anni, come la recrudescenza della violenza che a Tunisi, al Museo del Bardo il 18 marzo di un anno fa, ha ucciso strappando agli affetti più cari alcuni nostri concittadini. E poi il Bataclan e il sangue di Parigi. E come non rimanere agghiacciati di fronte al terrore che ha colpito qualche settimana fa la capitale dell’Europa, Bruxelles.
“Le origini dell’Italia repubblicana si ritrovano nei processi e nei fatti maturati nella lotta antifascista che si presentò ribellione di massa. E rendere omaggio a tutti coloro i quali – come i martiri del Pian del Lot – hanno contribuito alla costruzione di una società libera e democratica, è un dovere”.
I caduti della Resistenza, a Torino furono un migliaio, ai quali vanno aggiunti i 600 ebrei deportati e che mai più fecero ritorno e alle diverse vittime militari: “Non c’è futuro senza memoria. Ecco perché siamo qui riuniti questa mattina: quel che è avvenuto non deve accadere mai più. La conoscenza aiuta a nutrire gli anticorpi. A essere pronti a estirpare i primi segni dell’antisemitismo, della xenofobia, l’Olocausto causò sei milioni di morti, del razzismo, dell’intolleranza, anche quella che si nasconde nel fondamentalismo religioso ”.