Con Greg Horowitt nella “foresta pluviale”

di Mauro Marras

Come creare e far crescere un ecosistema favorevole allo sviluppo di start up innovative e creative: la ricetta della Silicon Valley (ma anche di Boston, New York o Washington D.C.) non è nata come modello preconfezionato, ma ha preso forma dal caos per divenire un formidabile motore dell’economia mondiale. Si può replicare in altre realtà? Certo, se c’è l’humus per far crescere la “cultura delle start up”, quel misto di genio, determinazione, casualità, creatività e competenze che, poggiato su una infrastruttura di business, credito, ricerca e infrastrutture logistiche, può trasformare il mondo.

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Greg Horowitt (secondo da sin.) con Piero fassino

Lo sa bene Greg Horowitt, che nel 2012 ha pubblicato “Rainforest: the secret to building the next Silicon Valley” insieme a Victor Hwang. Un humus si crea quando enti pubblici e privati, università, banche, imprese, riescono a costruire una rete capace di sostenere le nuove idee quando emergono e trasformarle in opportunità.

Greg Horowitt è oggi a Torino dove ha partecipato a una iniziativa dell’associazione Torino Strategica, portando il suo contributo e le sue analisi all’attenzione di quanti si stanno impegnando nella costruzione del terzo Piano strategico della città. Nel pomeriggio ha incontrato il sindaco a Palazzo civico.

Mister Horowitt, cos’è per lei in questo contesto una “foresta pluviale”?

In un sistema locale dell’innovazione è importante anziché creare le società vincenti, creare le condizioni affinché queste società nascano e crescano. Ma questo è anche il concetto alla base della biodiversità ecologica e ambientale. Non si mira alla singola società che si sviluppa, ma a creare le condizioni perché chiunque possa svilupparsi. Come una foresta pluviale è il regno della biodiversità, così deve essere un sistema locale dell’innovazione: aperto a tutti e fecondo per tutti. Se un sistema industriale è basato sulla scarsità, questo modello è basato sulla ricchezza: di idee, di persone, di relazioni.

Per quello che ha potuto conoscere nell’incontro di stamane, Torino può diventare una ricca foresta pluviale?

Ci sono tanti modi per trasformare Torino in una rainforest. Il governo, l’ente pubblico deve essere un abilitatore, un facilitatore, capace di “dare potere” (empowerment), deve mettere insieme gli enti e le persone per costruire opportunità. Voi qui avete tutti gli ingredienti: ci sono persone molto competenti, buone infrastrutture, adesso è il momento di mettere insieme gli ingredienti e co-creare insieme agli attori. Bisogna passare dall’egosistema, basato sulla gerarchia, all’ecosistema, che si costruisce su un sistema di relazioni. In questa fase del processo di realizzazione di un’idea, si deve pensare da psicologi, non da economisti.

Su quali basi si possono costruire relazioni utili alla crescita della rainforest?

Il concetto della foresta pluviale si fonda sulle persone e la moneta di scambio tra le persone è la fiducia, mentre se ci si fonda sui processi la moneta di scambio è il denaro. Ma il capitale sociale determinante nella rainforest è la fiducia. Quando gli attori si parlano, si fidano si connettono tra loro. Il concetto è “senza ordine nulla può esistere, senza caos nulla evolve”.

Torino è cresciuta prima su un modello di società militarizzata, poi dopo l’Unità questa visione gerarchica è passata all’industria pesante, che ha caratterizzato il nostro modello sociale e produttivo per decenni. Oggi questa cultura pesa ancora, ma abbiamo sempre avuto un mondo creativo che è cresciuto parallelamente all’industria: gli artisti ricercati dai ricchi collezionisti, i pubblicitari al servizio della produzione e del mercato, gli scrittori pubblicati dalle tante case editrici.

Una struttura verticistica è wonderful, è necessaria, quando si parla di processi produttivi, di struttura aziendale. È funzionale per la produzione, ma bisogna trovare il modo per fare spazio ad altri modelli mentali e creativi.

Questa mattina, alla scuola Holden, Horovitt ha così presentato lo schema della rainforest: rompere gli schemi e sognare; aprire le porte  e ascoltare; avere fiducia ed essere affidabile; sperimentare e riprovare insieme, cercare equità, non beneficio; sbaglia, fallisci e persisti, e rendi tutto ciò più avanti. Una “religione dell’innovazione” dove testa, cuore e mani agiscono insieme per non perdere pezzi di futuro che il presente ci offre.

(Grazie a Torino Strategica e ad Anna Prat per il sostegno)