di Annamaria Garbero in collaborazione con la redazione di Torino Click
In occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, le Biblioteche civiche torinesi organizzano, in collaborazione con l’A.N.P.E. (Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani) Piemonte, l’incontro-seminario INVENTARE IL FUTURO. Danilo Dolci e l’approccio maieutico reciproco, in programma domani sabato 21 novembre alle 9.30 presso la Biblioteca civica Italo Calvino, in lungo Dora Agrigento 94.
Partecipano il figlio, Amico Dolci, in rappresentanza del Centro Sviluppo Creativo Danilo Dolci e Nanni Salio, del Centro Studi Sereno Regis. L’ingresso è libero.
L’intento dell’iniziativa è ricordare e rivalutare l’opera e le esperienze dei grandi pedagogisti che hanno fortemente segnato il processo formativo nel nostro Paese, analizzandone concretamente il pensiero e la pratica educativa. Dopo Maria Montessori, Francesco De Bartolomeis e Alberto Manzi, l’omaggio è dedicato quest’anno alla figura di Danilo Dolci, insigne pedagogista che, come loro, mai si è preoccupato delle “cattedre”, privilegiando piuttosto il lavoro e l’azione sociale, la sperimentazione, la ricerca e la documentazione. Dolci, come Manzi, non solo ha fatto sì che di ogni bambino, e di ogni individuo in generale, fosse valorizzato il potenziale creativo ma ha operato a strettissimo contatto con la gente oppressa e disagiata della “sua” Sicilia, cercando possibili leve per il cambiamento, potenzialità per un democratico riscatto sociale, connessioni e comunicazioni possibili per liberare la creatività nascosta in ogni individuo: “perché educare è un arte”. Il suo approccio maieutico reciproco, una metodologia dialettica di indagine e di autoanalisi popolare sperimentata sin dagli anni ’50, ha favorito la responsabilizzazione delle comunità in un “processo di esplorazione collettiva che prende, come punto di partenza, l’esperienza e l’intuizione degli individui”. Interrogando se stesso, interpellava nel contempo la memoria e l’identità altrui, escludendo che nella lettura del mondo rimanessero nodi in sospeso, aspetti non chiariti, per una comprensione della storia finalizzata alla costruzione del futuro. Dolci ha colto nella mafia uno dei fattori del sottosviluppo; le sue ricerche per la lettura del fenomeno e per la messa a punto dei rimedi necessari, a suo giudizio, a debellarla, sono state sostanziali alla sua azione sociale. Della cinquantenaria militanza “missionaria” tra la gente della Sicilia occidentale, le sue battaglie antimafia costituiscono un architrave ineludibile, senza la quale gran parte dell’impegno di questo fine intellettuale venuto dal Nord e cocciutamente rimasto settentrionale, avrebbe certamente avuto un altro sapore, un’altra impronta culturale.
E’ tempo di una renaissance di Danilo Dolci e l’incontro costituisce quindi una ghiotta occasione per conoscerne e recuperarne la figura e la lezione di metodo, da qualche anno un po’ dimenticati, dopo la clamorosa attenzione risvegliata nei suoi contemporanei. Egli è stato infatti uomo di svolta epocale, un “Gandhi italiano”, essendo riuscito a inserire tra l’indifferenza delle classi dirigenti e l’economicismo prevalente delle lotte sindacali, il cuneo della denuncia pacifista, fatta di resistenza passiva, di pratica dell’obiettivo, di scioperi alla rovescia, di digiuni collettivi, di fusione dei diritti sociali nei diritti umani. Un acuto pungolo che ha spinto i migliori intellettuali italiani e gran parte del giornalismo a guardare finalmente al mondo degli ultimi, costringendo le classi dirigenti a prenderne atto.
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